Domiziano, che regnò dall’anno 81 al 96 dell’era volgare, ebbe fama di grande crudeltà presso il popolo anche per un suo celebre e spaventoso “convito funebre”.
Racconta Dione Cassio che l’imperatore un giorno invitò a un banchetto i cavalieri e i senatori più eminenti in tutta Roma. Quando i convitati, senza alcuna scorta, giunsero a Palazzo, furono sistemati in una vasta sala nera come la pece, illuminata qua e là da poche faci deboli, come un cimitero di notte. Ognuno fu sistemato accanto a una colonna funebre, sul quale trovava contrassegnato il proprio nome.
Arrivarono dei giovinetti nudi, dipinti di nero, che danzarono nel buio, intorno a loro. Furono poi servite le vivande, in piatti neri: erano le stesse, nere, rituali, che si offrono ai defunti.

Solo Domiziano parlava, tutti gli ospiti erano ammutoliti dal terrore, e presagivano una strage. In quel silenzio funerario, l’imperatore tenne un’orazione sui suoi argomenti preferiti: la morte e le uccisioni. Poi congedó i convitati e li fece riaccompagnare a casa non dai loro schiavi, ma da altri, sconosciuti, che parevano assassini prezzolati. Ciononostante, tutti furono presto nelle loro dimore. Giá tiravano un sospiro di sollievo, e si sentivano scampati a una morte sicura, quando, da ognuno, giunse un messo imperiale. “Ciascuno allora fu certo che fosse giunta la sua ultima ora”.
Il messo era invece uno dei fanciulli che avevano danzato nella penombra della sala atra, e che ora, lavato e rivestito, rendeva loro omaggio con ricchi doni.

I tiranni sembrano gustare, come fosse nettare o ambrosia nei banchetti divini, il Terrore che incutono col loro Potere.
[in copertina: Frammento dalla “Tempesta”, di George Romney (1790)]