I- Non ha ancora trovato risposta l’interrogativo storico, se Greci, Romani, o popoli ancora più antichi, conoscessero e adoperassero “Cambiali” (o qualche titolo di credito assimilabile). Molti studiosi quindi ritengono che l’inventore della “Lettera di Cambio”, un’antenata della nostra “Cambiale” (o almeno, del suo uso in senso moderno), sia stato il mercante italiano Francesco di Marco Datini, deceduto a Prato, in Toscana, il 16 agosto del 1410. Datini era anche famoso per il suo proverbiale intercalare, negli affari: “…nel nome d’Iddio e del guadagno…” – il che dà abbastanza l’idea del personaggio.
Altri storici (carovana a cui – sia pure senza alcun titolo – mi aggrego), hanno però la fondata impressione che le Cambiali circolassero già da tempo immemorabile, probabilmente sotto altra forma. Nel significato attuale, e nell’opinione pubblica a noi contemporanea, questi fogli possono sfarfallare di mano in mano tramite infinite “girate”, e rappresentano quindi solo un penoso documento che certifica un Debito da pagare entro una precisa scadenza. In questo senso, non ho dubbi che sia stato inventato da altre culture monetarie assai più antiche e diverse dal protocapitalismo italiano. Prima di Genova, nel XII secolo, o della Toscana ai tempi di Datini, è probabile che i primi esemplari di Cambiale siano stati vergati in Israele o Palestina, dove i Tribunali potevano incorporare certe funzioni che sarebbero state espletate, dal medioevo in poi, dalle banche.

II- Il più vasto repertorio di scaltrezze si trova senza dubbio nella Scrittura Sacra, nella Mishnah, nei Midrashim o in altre forme della Tradizione degli Ebrei, con gli addenda disseminati dai rabbini alla loro lettura della Bibbia. Per i Dottori d’Israele, se non c’è malizia, ogni interpretazione della Legge è legittima.
Nei passi più illuminanti della Torah (quelli che servono) ci si imbatte, di norma, per caso. Ha sapore di parabola questa prescrizione del Talmud: “Rabbi Nahmàn, a nome di Rabbà bar Abuha, disse: Chi entra nella sinagoga, con l’intenzione di non servirsene come scorciatoia, può servirsene come scorciatoia” [Trattato delle Benedizioni del Talmud Babilonese, 62 b]. Benché sembri un nonsense, è un fatto, questo, che può accadere. Qualcuno entra nella sinagoga e si accorge solo in quel momento che esiste “un’uscita diversa dall’entrata, che lo ponga giusto sul suo cammino”. In questo caso, è lecito servirsene. Ma se è entrato nel tempio non come devoto, ma come furbo, deve fare dietro front e prendere la strada più lunga.
Da citazioni come queste si evince come mai, in genere, i cultori del Fantastico ammirino la cultura e i cavilli degli Ebrei, sconfinatamente.
Altro esempio. Una norma dettata dal Deuteronomio (XV, 1 e segg.) sembrava non dar scampo all’Israelita in affari: “Al termine di ogni settimo anno farai un condono” – comandava la Torah. “E questa è la regola per il condono: ciascun creditore condonerà ciò che ha prestato al suo prossimo”.
La Legge era misericordiosa con i poveri, ma non era al passo con i tempi in cui l’Israelita aveva intrapreso a commerciare – anche con i pagani – e a prestare denaro. Se il debito non era riscosso prima dell’anno sabbatico, il rischio di non incassarlo mai, era altissimo.
Solo nel primo secolo dell’era volgare il saggio Hillel – l’iniziatore della scuola dei Tannaim, o Maestri, dediti alla codificazione della Legge nella Mishnah – trovò una soluzione che salvaguardasse sia il giro d’affari, sia lo spirito dei Comandamenti. Il suo metodo (che è lo stesso, in generale, di tutti i venerandi dotti evocati nei Talmud), consisté semplicemente nel trovare all’interno della stessa Scrittura un altro precetto, oppure un semplice enunciato, che consentisse, posto in parallelo con la norma esaminata, una lettura più avveduta e mitigata della Legge.
Il Maestro ebreo, ricorda lo studioso Abraham Cohen, «partendo dall’ipotesi che la Torah non presenta alcuna parola superflua, si fermò sulla frase “la tua mano rimetterà tutto ciò che di tuo è presso tuo fratello” (Deuteronomio, XV, 3)». Hillel specularmente ne desunse che potevano esserci casi, non coperti dal “condono del settimo anno”, in cui “tutto ciò che è tuo”, non si trova né presso il creditore, né presso il debitore.
“Da questo ragionamento Hillel concluse che se il creditore consegna al Tribunale un documento firmato mediante il quale trasferisce il proprio credito ai giudici, ha il diritto di reclamarlo per mezzo del Tribunale, anche spirato l’anno sabbatico”.
Il colpo di genio fu quello di spostare altrove quel titolo di credito in pericolo, che a noi moderni appare tremendamente simile a una Cambiale “in scadenza”.

[in copertina: “Non fate una mossa!”, di Victor Dubreuil (particolare)]