Tipica della Fantascienza occidentale, fin dai suoi inizi, è la fantasia che sia possibile tornare nel passato e “rivivere” – da testimoni, o da protagonisti – la Passione di Gesù: sembra quasi che le avveniristiche “Macchine del Tempo” siano state inventate per questo. Nel romanzo Around a Distant Star, di Jean Delaire (London : John Long, 1904), un’astronave riesce a viaggiare a una velocità superiore migliaia di volte quella della Luce: risultato, arriva su un pianeta distante dalla Terra circa millenovecento anni luce. Lo scopo del protagonista è quello di puntare su Gerusalemme il suo potentissimo supertelescopio, in modo di poter osservare tutte le fasi della Crocefissione e della Resurrezione di Gesù.
Lo scrittore di Fantascienza Garry Kilworth (in “Let’s Go to Golgotha!”) ha immaginato che grazie a una “Macchina del Tempo” decine di Cronoturisti fossero proiettati nella Gerusalemme retta da Pilato e che, gremendo una piazza deserta di ogni Ebreo, spingessero il procuratore romano, per acclamazione, a liberare Barabba invece del Redentore.
Nella saga Caballo de Troya di J.J. Benitez, scrittore spagnolo che ho conosciuto (ho un grato ricordo della moglie Blanca, scomparsa tre anni fa), un militare degli Stati Uniti viaggia nel passato e assiste ai prodigi di Gesù, trasformandosi – da scettico – in adepto del suo occulto insegnamento.
J.J., dopo alcuni iniziali tentennamenti, dové ammettere che il suo racconto era frutto di immaginazione, e che i verbali dell’ufficiale americano, da lui spacciati per autentici, in realtà non erano mai esistiti.
Diversamente da Benitez e da tutti gli altri autori di romanzi fantascientifici – a partire da Edward Page Mitchell (L’orologio che andò al contrario, 1881) e H.G. Wells (The Time Machine, 1895) il benedettino padre Pellegrino Ernetti (1925-1994), ha sempre affermato, e mai smentito, di aver personalmente visto e registrato episodi della storia passata nel momento stesso in cui erano accaduti. Ernetti non era un sensitivo, ma uno scienziato; un fisico, addirittura. Sostenne, anche pubblicamente, d’aver creato una “Macchina del Tempo”, che l’aveva messo in condizione d’essere presente mentre Gesù Cristo veniva arrestato, giudicato e poi condotto sul Calvario.
Padre Ernetti fu l’inventore del Cronovisore. Si tratta di un’apparecchiatura ricevente che viene puntata sul Passato, anche il più remoto, e che consente di captare qualsiasi evento storico. Sarebbe vano però ricercare questo prodigioso macchinario in qualche laboratorio attuale e persino in qualche magazzino localizzabile geograficamente. Il Cronovisore non esiste più: lo smontò, e ne disperse i pezzi, lo stesso Padre Ernetti – forse perché angosciato dalle prospettive “spionistiche” che apriva. A chi gli chiedeva di ricostruirlo, replicava quasi con sarcasmo. “È impossibile, per chiunque”, ammoniva.
La Macchina del Tempo, che negli anni Cinquanta era ancora attiva, fu descritta dal monaco a uno studioso di fenomeni esoterici, Padre François Brune. Era divisa in tre sezioni; somigliava in qualche modo a un antico televisore. La sormontavano antenne forgiate “con tutti i metalli”, che convogliavano le immagini (in bianco e nero), nonché i suoni raccolti, su uno schermo dotato di altoparlanti e poi su un apparato che consentiva di registrarli, una sorta di “vidigrafo”.
Più interessante ancora era la centralina, il “cervello” del Cronovisore: un sintonizzatore che poteva essere modulato e puntato su qualsiasi oggetto di valenza “storica” o, direttamente, su persone specifiche (vive ma, meglio ancora, defunte). Una volta prescelto il protagonista, la macchina lo seguiva automaticamente, dall’esterno, senza che l’interessato si avvedesse dell’intrusione, come in una televisiva “candid camera”.
Il procedimento era reso possibile da alcune qualità fisiche dell’Universo che gli scienziati d’ogni continente avevano fino allora trascurato: la permanenza e l’indistruttibilità dell’energia generata da fatti e da individui; nonché l’unicità delle “scie” sonore e luminose che appartengono a ognuno di noi, e che emaniamo a ogni nostra azione – come fossero impronte indelebili lasciate da un Dna energetico che spargiamo senza avvedercene nello spazio.
In modo rabdomantico, la macchina di Ernetti – messa a punto, secondo lui, con i suggerimenti di Enrico Fermi, Wernher von Braun, e Padre Gemelli – captava appunto quelle “scie”, abbandonandole, poi, quando voleva. Grazie a questa tecnica, il benedettino fu in grado di seguire e di ascoltare, personalmente e “dal vivo”, un discorso di Mussolini, uno di Napoleone, una Catilinaria di Cicerone, il Tieste di Quinto Ennio, (che riuscì a trascrivere integralmente, durante la prima recita); e infine, non ultimo tra i suoi exploits, di registrare l’intera passione e morte di Gesù Cristo.
Per sintonizzarsi sull’onda generata da questo tremendo avvenimento storico, Padre Ernetti procedé per tentativi. Non era facile districarsi nella selva dei morti crocefissi, in un’epoca – l’occupazione romana della Palestina – così barbara e inflessibile nell’applicazione della giustizia. L’inventore focalizzò da principio il Cronovisore sulla corona di spine di Gesù, ma fu un fiasco. Questo “oggetto del desiderio” si rivelò tra tutti il più debole, segno che aveva avuto un ruolo meno importante di quanto suggerivano i Vangeli e la tradizione. “Abbiamo allora provato” – racconta a Brune il monaco – “a risalire nel tempo, all’Ultima Cena. Ha funzionato! E da allora non l’abbiamo più lasciato”. Intendeva: il Cristo.
Ciò che Ernetti vede si discosta, in parte, dal ragguaglio degli evangelisti. Per esempio – dice –, Simone di Cirene fu costretto con la forza a caricarsi il resto della croce, mentre a Gesù restava sulle spalle solo il patibulum, assai più leggero. Sullo schermo, il volto piagato del Redentore risultava irriconoscibile; le frustate gli avevano portato via la carne, scoprendo l’osso. “Era l’anno 36 della nostra era”, dettaglia l’inventore a Brune. Indizio che anche sulla sua macchina, come su quella di H. G. Wells, campeggiava un “contatore d’anni”.
Purtroppo, nel 1972, un giornalista della “Domenica del Corriere” ottenne da padre Ernetti il consenso a pubblicare sulla rivista una delle “foto” scattate quasi vent’anni prima durante la Cronovisione del Calvario. Sulla pellicola era davvero impresso il volto di Gesù mentre agonizzava – probabilmente, il suo estremo momento di vitalità, prima dell’abbandono delle forze, annunciato dalle pupille rovesciate.
Un lettore qualunque, neanche uno studioso, protestò: l’immagine pubblicata sul settimanale era identica a quella d’una statua lignea che dava lustro a una chiesa del suo paese. La foto secondo lui non era altro che un “santino”, – di quelli che i devoti usano mettere nei portafogli, o come segnalibri nei volumi di preghiere. In effetti, risultò che i due volti, quello di Cristo nel 36 dopo se stesso, e quello dell’immaginetta sacra, combaciavano – nonostante qualche infantile trucco fotografico per differenziarli. Il benedettino si astenne dal replicare a chi lo accusava di mistificazione. Si chiuse in un silenzio irremovibile, non si sa quanto sdegnato, o quanto imposto dalle superiori gerarchie.
Il Cristo di Pellegrino Ernetti era davvero una smaccata frode, come era apparso evidente, a quel punto, a tutti? O quella foto, sbagliata, era uscita da un cassetto solo per contentare l’ingordigia d’un cronista? Oppure – ipotesi perturbante, ma non più irreale di tutta la vicenda – il “santino” era davvero sbucato dalla Macchina come un “oggetto secondario”, un parto, indesiderato, “del Desiderio”? Un vero Hrön, nell’accezione borgesiana?
Ciò che vogliamo fortemente, ci viene dato dal Destino, spesso, sotto forma di burla o di ciarpame. Tanto più alto è l’ideale da raggiungere, tanto più abietto, dozzinale, o inutile, sarà il succedaneo che ci viene riservato.
C’è ancora un’ulteriore circostanza, a indurci a sospettare che la storia del Cronovisore non sia totalmente inventata. Dom Pellegrino Ernetti è stato, per lunghi decenni, l’Esorcista della sua Diocesi.
Nella sua sconfitta d’uomo e di scienziato, pare di intravedere (non voglia il Cielo) la ripicca irridente, il graffio sulfureo, del suo acerrimo Nemico.
[in copertina: il professor Mortimer ne La diabolica invenzione, di E. P. Jacobs]