Spettri di Clint (pubblicato da Baldini+Castoldi) corona il “lavoro critico lungo una vita” di Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri su Clint Eastwood, il cineasta dell’America degli Unforgiven. Giustamente il libro non considera la filmografia di Clint dal punto di vista cronologico ma (trattando d’un grande autore e artista del Cinema, quasi “musicale”) raggruppa le sue opere per generi e Motivi, secondo l’ispirazione. I temi affrontati nel testo sono molteplici, e parlando con gli autori, ho cercato di approfondirne alcuni.
Adan Zzywwurath:
Soprattutto splendido e degno d’un seminario è il vostro capitolo “Storia”. L’analisi di quello che avveniva negli Stati Uniti durante la produzione o all’uscita dei film fa da contrappunto all’analisi di ogni opera di Eastwood. Che voi studiate anche dal punto di vista dei “compiti” che ha il Cinema nell’epoca della Post-modernità.
Roberto Silvestri:
Abbiamo affrontato Clint come come specchio di una realtà naturalmente in primo luogo americana, che ci spiega le radici della storia americana. Siamo partiti da quanto ha detto Clint Eastwood stesso: la Storia lo ha sempre interessato, e ha riflettuto con i suoi film anche sui momenti politici vissuti dagli Stati Uniti: dalla Corea, al Vietnam, a Grenada, ai presidenti che si sono succeduti…
A Zz.:
Momenti anche, di crisi.
Mariuccia Ciotta:
Si. Ma non c’è soltanto l’interesse di Clint per alcuni fatti storici ben precisi e documentati; penso che a lui stia a cuore l’ “innocenza perduta” del suo Paese: quindi qualcosa che ha a che vedere con un sentimento che pervade l’America: un senso di colpa rispetto al saccheggio della natura e alle stragi che hanno eliminato i Nativi d’America, e naturalmente anche allo schiavismo…. Eastwood sente molto forte questo senso di colpa legato all’innocenza perduta, che percorre tutto il suo cinema e all’interno del quale lui agisce e interviene cercando di ripristinare il senso della Giustizia…
A Zz.:
Questi “Spettri di Clint” sono dunque Spettri del Rimorso?
Mariuccia Ciotta:
Esattamente, sono gli spettri del rimorso. Non a caso Eastwood fa un’opera di revisione della storia dell’America da un certo punto di vista che non è quello della storia ufficiale, ma è un punto di vista molto politico. Nei suoi Western questo è più evidente, ma in tutti i suoi film lui, in modo esplicito o non esplicito, tocca argomenti che hanno a che fare con una riscrittura della Storia.
A Zz.:
Vorrei parlare di Dirty Harry, ossia, in italiano, Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo, diretto da Don Siegel, ma prodotto dalla Malpaso di Eastwood e fortemente voluto da Clint, che ha personalmente elaborato il personaggio. Il film è un classico, che 52 anni fa ebbe un enorme successo, ma fece anche scandalo. Quando gli presentarono il copione di Callaghan dissero a Eastwood che Paul Newman aveva rifiutato la parte perché il film era “politicamente scorretto”. Allora volle dare a tutti i costi un’occhiata alla sceneggiatura, la trovò eccezionale e accettò subito di interpretarla. Gli piaceva Dirty Harry perché aveva “un senso dello humor perverso”. Ma credo che gli piacesse anche per altri motivi: fare un film controcorrente e imperniarlo su un eroe che è soprattutto un antieroe. Ha molti aspetti del “perdente”, Callaghan. È anche lui un “renegade”, un disadattato, un dropout, un emarginato che vive solitario, col frigo vuoto, che ha problemi con il proprio passato, col suo mestiere e con i propri superiori. Per questo alla fine butta via la stella di latta (il distintivo). Ma per il pubblico invece è un vincente, che non si adegua a un mondo, intorno a lui, fatto di perdenti. Poi ci può essere pure un terzo punto vista, ancora più “esterno”: se mi metto nei panni di un passante di San Francisco, vedo in Callaghan un sadico armato di pistolone che ha licenza di uccidere e che gira per la mia città, sempre sul punto di far scoppiare una sparatoria che si trasforma in strage. Allora sento un forte bisogno di “prendere un ostaggio”, perché così forse me la cavo… Insomma è un personaggio che pare fatto apposta per essere equivocato, e mi sembra molto complicato difenderlo fino in fondo, come fate voi…
Roberto Silvestri:
Clint ha spiegato in un’intervista che, per capire Dirty Harry, bisognava tornare in qualche modo a un nodo fondamentale della storia: all’epoca del processo di Norimberga, quando l’America giudicò i crimini nazisti. Dove c’è un sistema che ti obbliga a eseguire ordini ingiusti, è giusto rispondere: “No, io non li eseguo”. Questo vale anche per Callaghan: il principio etico è lo stesso. Se lui si piegherà agli ordini dei superiori, una ragazza sequestrata da un criminale, morirà, e lo stesso succederà ai ragazzi in gita su uno scuola-bus. Lui reagisce in questo modo a un fatto nuovo, che si sta producendo, e che non è previsto dalla legge, un’emergenza associata alla comparsa dei “serial killer”.
A Zz.:
Non sono convintissimo che il “modello Norimberga” valga per tutti gli ordini che riceve Dirty Harry… per esempio, va a trovare prove senza mandato…
Mariuccia Ciotta:
Nella tua domanda c’è un’analisi molto interessante sulla percezione che può avere il pubblico di questo personaggio. Però io non sono d’accordo. Secondo me Callaghan non è un “perdente”: è un ribelle, insofferente verso quelle leggi che lui considera ingiuste e che in quel momento non riescono a fronteggiare l’ingresso in scena di un nuovo tipo di criminalità. Lui era molto incerto, poi butta via il distintivo non perché sia un perdente, ma perché pensa di non essere più compatibile con la polizia, che gli impone delle regole che non vuole rispettare. Callaghan, comunque, non è stato messo sotto accusa dai critici newyorkesi “liberal” come Pauline Kael perché inquina le prove. La scena incriminata, quella che ha suscitato più polemiche, è quando Dirty Harry, dopo aver sparato al killer, preme col piede sulla sua gamba ferita, per farlo parlare. Lui fa un’azione scorretta perché in qualche modo lo tortura. E qui c’è un dialogo molto significativo tra i due: il ferito invece di dire: “Lasciami!”, oppure: “Parlerò!” – consentendogli di liberare la ragazza sequestrata prima che muoia –, fa appello alla legge che impone alla polizia di far conoscere agli arrestati i propri diritti, la “legge Miranda”. “Non è il momento di chiamare l’avvocato!”, risponde Callaghan, “voglio sapere dov’è questa ragazza!”. Secondo critici come la Kael questo è un comportamento “fascista”. Credo che Clint, dal 1971, sia rimasto quasi traumatizzato da questa lettura del film, che non tiene conto che Don Siegel era lui stesso un “liberal”, e di ciò che aveva fatto Eastwood fino allora; credo sia stato così scioccato che anche l’ambiguità politica mostrata certe volte successivamente, sia proprio derivata dal fatto che lui si sente respinto dall’intellighenzia di sinistra e “democratica”, e che quindi abbia sviluppato una specie di allergia alle Pauline Kael di tutto il mondo.
A Zz.:
Clint è un proletario, è figlio di un operaio, è stato operaio lui stesso. Forse certa critica “di sinistra” si rammarica perché lui, come Dirty Harry, non rappresenta il punto di vista “progressista” delle masse proletarie…
Roberto Silvestri:
Invece secondo me lo esprime, è proprio il contrario. Con lui il proletariato si fa forza costituente, come diceva Toni Negri. Una forza che è barbara, è criminale e psicopatica esattamente come il suo rivale, ma attraverso questa nuova barbarie si fa legge costituente. E qualche anno dopo, come sa chi ha visto Milk, ci si rende conto in che consiste l’ossequio delle leggi: a un criminale che aveva ucciso un sindaco e il suo consigliere fu permesso di farla franca grazie ai cavilli legali. L’assassino, dopo due anni è stato liberato.
A Zz.:
Scorrendo l’elenco dei film di Clint Eastwood sembra però di avere di fronte il catalogo di un individualismo declinato in ogni possibile sua variazione. Anche nelle storie corali quello che conta è il punto di vista individuale.
Roberto Silvestri:
Io paragono Clint a Glauber Rocha. Clint nei suoi film, in particolare nello Straniero senza nome e nel Texano dagli occhi di ghiaccio ha fatto un’operazione simile a quella che Glauber Rocha ha realizzato col suo dittico sul “millenarismo religioso” brasiliano, film che non sono piaciuti affatto ai “democratici in limousine”. Rocha ha rappresentato l’uccisione del nuovo brasiliano, il brasiliano selvaggio che riunificava il proletario portoghese, il nero, e l’indio. Clint in quei western ha ipotizzato un tipo di americano nuovo che è quello che dovrebbe essere realizzato dal basso attraverso il proletario bianco, attraverso il nero e attraverso l’indiano, che insieme formano un “individualista” classico, ma transculturale …
A Zz.:
Roberto, tu hai scritto, non in questo libro: “Fare arte è un modo obliquo di fare politica”, definizione stupefacente e al tempo stesso rivelatrice. Si può dire che Clint Eadwood, ha fatto politica, con la sua arte, nel modo meno obliquo possibile?
Roberto Silvestri:
Certo: è un politico della “prassi”, essendo un regista… Clint è frutto della cultura europea, dal punto di vista del suo passaggio alla regia. Ricordiamoci che l’America ha vissuto il ’68 un po’ prima, nel ’64 e ’65. Anche l’illusione sulle possibilità rivoluzionarie in America si è estinta più o meno nel ’70-’71. Stiamo parlando soprattutto di San Francisco e di quel tipo di cultura avanzata: tutto finisce in quel momento. Fino al ’64 Eastwood è un pianista, poi un attore che si annoia a fare l’eroe in Rawhide. Va in Italia e scopre un mondo, scopre Fellini, scopre Bergman, scopre il cinema moderno attraverso Sergio Leone. Leone gli insegna che c’è questa specie di “soggettività desiderante” dentro il Cinema, gli insegna la “modernità”: cioè che si può fare Cinema come “punto di vista”. In quel periodo lui viene da un’America che è in grandissima difficoltà nel mercato cinematografico: è il momento peggiore della storia del cinema americano, sta per nascere la New Hollywood, ma non si sa bene cosa fare… Lui torna e che cosa succede? Che, rispetto ai ragazzi delle scuole di Cinema, che stanno cominciando a fare Cinema studiando il Cinema moderno – e quindi mettendo anche in discussione i generi e lo stile del cinema classico –, Clint si inventa questa specie di sensibilità nuova di fare Cinema, che è la “postmodernità”. Che significa fare politica obliquamente – per forza, perché hanno “perso”, in quegli anni –, e si ricomincia a lavorare mettendo in discussione il modo di fare arte e ci si disloca dalla propria origine formale. È un interessante movimento, che significa fare politica senza farsene accorgere, oppure fare politica cambiando il punto di vista prestabilito. Ed è quello che fa Clint.
Naturalmente questo modo diverso di fare politica passa anche per modelli produttivi alternativi. Eastwood fonda la Malpaso alla fine degli anni ’60, per sottrarsi al dominio dei grandi Studios. Questo tipo di cinema americano parallelo alle Majors che comprende lui, Corman, e altri piccoli gruppi, fino a arrivare al “Sundance Festival”, ha attuato il compito principale della politicità del Cinema. Il cinema politico non è quello che punta il dito sulla miseria del mondo, perché questo fa parte dello spettacolo, ma punta il dito su come riuscire a cambiare i modi di produzione.
A Zz.:
Allora, dal vostro libro mi pare si possa desumere questo: forse solo la grande “rabbia” spiega Clint come “personaggio” dei suoi film. La rabbia politica e “proletaria” di Callaghan che va al di là della ragione o del torto, e che diventa ridicola quando viene spiegata con un lutto o con la solitudine di chi non è riuscito a tenere insieme una famiglia. La rabbia di Clint è qualcosa di più profondo e di più americano. Lui affronta tutto il mondo con questa rabbia dentro. Poi magari almeno inizialmente, già in Leone, lui ha un aspetto molto Zen, silenzioso, superiore, flemmatico, distante, ascoltatore.
Mariuccia Ciotta:
Clint è Zen fino a un certo punto Quando quella rabbia esplode lui diventa il pistolero degli Unforgiven – ricordiamoci che nel titolo originale de Gli spietati c’è appunto l’idea dell’unforgiven, quelli che non si perdonano e non si possono perdonare, gli “Imperdonabili” – : è l’America che non si può perdonare e che richiede un intervento “extraterrestre”, dotato di una forza straordinaria…
A Zz.:
Quindi la sua è anche la rabbia tipica di una coscienza “tradita”, cioè: uno spettro, che non si è mai placato, e che ritorna in terra per rimettere a posto le cose che il mondo fa in modo sbagliato, o che lui stesso ha lasciato a metà. Qualche critico americano ha descritto questo Spettro come un Angelo, o come un nuovo Cristo, più che come un Fantasma. Per questo appare quasi dal nulla e spesso ritorna nel nulla, soprattutto nei western…
Mariuccia Ciotta:
Ma, anche se apparentemente il suo ruolo di revenant è di stampo biblico, io non credo che Clint Eastwood si identificasse con un personaggio divino e con qualcosa che ha a che fare con la religione. Io penso, come dicevamo, che Clint sia lo spettro del rimorso e dei sensi di colpa dell’America, ma non solo, perché lui stesso si sdoppia in due personalità. Da una parte è il “giustiziere” – colui che appunto, come si vede chiaramente nel Cavaliere pallido, ritorna dall’aldilà, una figura da Apocalisse e da “settimo sigillo” – ma, dall’altra parte, lui stesso è la “vittima”. Clint è sempre in bilico tra le due cose: tra il bene e il male, tra la vittima e il carnefice. Lui non è soltanto l’Angelo Sterminatore.
Il suo cinema e i suoi film vanno interpretati come una specie di mutazione all’interno della narrazione. Ed è come se lui proponesse allo spettatore la stessa Metamorfosi. Penso a Gli spietati dove Eastwood è una specie di vecchio che non riesce neanche a salire a cavallo, e poi diventa un pistolero infallibile che fa stragi. Ecco lì c’è una mutazione che passa dalla normalità “terrestre” e terrena a una specie di forza superiore, che però coincide solo apparentemente con una forza divina, ma secondo me è una forza politica rivoluzionaria. È quella cosa che viene sublimata e che diventa strage, diventa violenza, diventa sangue sullo schermo, ma che in realtà è proprio quello che tutti noi cerchiamo come forza di opposizione a un mondo orribile e di ingiustizia totale: una ribellione molto forte, molto drastica (e molto impotente per quanto ci riguarda), all’orrore del mondo, che Clint trasforma in questa forza ultraterrena, con la quale fronteggia, da solo, centinaia di nemici.
Roberto Silvestri:
Anche nei film di Callaghan, Clint parla al pubblico americano in un modo che ricorda un rito religioso, anche se in maniera laica. Abbiamo visto Sudden Impact (Coraggio…fatti ammazzare, 1983) a Los Angeles, ed è stata un’esperienza pazzesca: il pubblico reagiva immediatamente, come se fosse una sola persona…solo in Africa ho assistito a qualcosa di simile… Ma Clint utilizza questa forma di comunicazione “religiosa” diretta (Dirty Harry è pieno di simboli, di Croci) per decostruire la cultura ebraico-cristiana dell’Antico Testamento. Quella che da sempre nelle due Americhe è stata combattuta dai progressisti, dai democratici che si sono opposti, scontrandosi, all’integralismo biblico, e al suo risvolto politico, il federalismo. Il guaio dell’America è il federalismo, cioè quei trucchetti istituzionali – contro cui si combatte in tutte le maniere possibili, compreso il Cinema –, che fanno sì che quello che vuole la plebe orrenda e selvaggia (che ha ragione sempre), non venga mai attuato. Attraverso, che so, la Corte Suprema, il Senato, o attraverso tutta una serie di cavilli che riportano l’America all’Inghilterra, e cioè a quei trucchi europei che Dirty Harry cerca di sgominare e di distruggere completamente. E invece l’Europa ancora esiste in America.
A Zz.:
Quello che è chiarissimo per chi legge Spettri di Clint, è che voi non affrontate Eastwood come autore per difendere il cinema d’Autore. L’importanza di questo libro è che parlando di Clint, in qualche modo, è dell’Essenza del Cinema che parlate: del ruolo del Cinema, tutto, nella post-modernità.
Roberto Silvestri:
Se ti riferisci al fatto che l’essenza del Cinema è la distruzione del Cinema, in questo senso, sì. Dopo il fallimento della rivoluzione del 68, Straub, Clint, Corman, Carmelo Bene, Oshima e altri si mettono a distruggere il cinema come dispositivo autoritario di falsità, di riproduzione non veritiera del mondo; quindi, in questo senso sì. Anche Clint fa parte di questa corrente di Controcinema che permette allo spettatore di andare al di là del Cinema, in un momento in cui è più importante la vita, è più importante la politica, del Cinema. E per distruggerlo devono conoscerlo intensamente; ne conoscono ogni pertugio…
Mariuccia Ciotta:
Il modo di fare cinema di Clint Eastwood, che secondo me, è sperimentale, e lo dimostra in moltissimi suoi film, può indicare la direzione del Cinema del futuro, che non è soltanto il Cinema d’Autore, che appartiene al passato. Lui maneggia il cinema come qualcosa che non procede secondo una narrazione lineare, ma comincia a frammentarla. Pensa a Ore 15:17, attacco al treno, che viene considerato il suo peggiore film, ma che io trovo meraviglioso, perché lui fa una pazzesca operazione di innesto e di rottura introducendo, come attori, i veri protagonisti della storia, e aggiungendo pezzi di documentario, addirittura immagini “turistiche” dell’Europa. Questo lo fa lì come un gioco, ma in altri film, lui fa delle digressioni rispetto alla narrazione “classica”, che seguono un “ritmo jazz” nel quale, come tutti sanno, Eastwood in quanto musicista è un maestro. Questa frammentazione, questa ibridazione di vari materiali dentro il film secondo me è molto interessante e indica, per il futuro, una strada importante per “ripensare” il Cinema, che non deve più basarsi su un’unica forma di espressione.
A Zz.:
A proposito della forma “jazzistica” dei film e dei personaggi di Eastwood: penso alla battuta del suo Bird, Charlie Parker: “io faccio tutto di traverso”. Vale anche per Clint. Il mondo è fuori squadra, e bisogna fare e dire le cose in modo rovesciato, per rimetterle in sesto. In quest’ottica, quella di Eastwood non è solo una ribellione da westerner o da “carogna”, come in Dirty Harry: è una rabbia “jazz” che impone uno stile e un punto di vista particolare alla “costruzione” dei suoi film… E anche la metamorfosi, su cui voi insistete nel libro, che coinvolge spettatore e protagonista, non è forse una metamorfosi “jazz” che va avanti raccontata a strappi, a improvvisazioni? Ci fa effetto scoprire in Clint, attraverso il vostro libro, un uomo bellissimo che non è a proprio agio dentro il proprio corpo: “il ragazzo nero intrappolato in un corpo bianco”, come si descrive lui, da giovane. Comunque, una possessione metaforica in qualche misura: “musicale”…
Roberto Silvestri:
Vedi che è vero che c’è il tropicalismo di Rocha, in Clint…
A Zz.:
Non ci avevo mai pensato a un’anima nera, voodoo, di Clint… Ma forse quello che rende una star “mito” o icona di un’intera epoca è proprio il modo col quale riesce a nascondere le proprie dissociazioni, la propria fragilità e vulnerabilità umana, o a giocare con quelle.
Per non concludere, Clint Eastwood ha 93 anni va per i 94 e ancora continua girare film, come autore e come attore. Film che comportano un notevole dispendio di energie, anche fisiche. Vorrei ricordare a tutti i lettori che Clint è più anziano di James Dean, che ci ha lasciato addirittura 68 anni fa. Bene, a pagina 250 del libro di Roberto Silvestri e Mariuccia Ciotta, Spettri di Clint, c’è la ricetta dell’elisir di lunga vita usato dal cineasta per arrivare e mantenersi in forma fino alla sua bella età. A parte gli esercizi da palestra, che non bisogna mai smettere o trascurare, c’è un intero parco vitaminico-lisergico da assumere, per “allargare la coscienza e i muscoli”. Prendiamo nota. Parliamone col nostro dietologo, se ce ne possiamo permettere uno.
Il Trailer originale di “Juror#2”