Tra i Processi Celebri della storia, alcuni dibattimenti – non solo della giustizia ordinaria, secolare, ma anche quelli delle Corti Ecclesiastiche – videro, come imputati o testimoni, Bestiari d’ogni specie. Per secoli gli Uomini non hanno dubitato che, a modo loro, gli Animali infrangessero sia le Leggi, sia i Comandamenti. È istruttivo allora, credo, giudicare la Giustizia, laddove si esercita su creature per lo più mute e inabili a difendersi, quali sono le Bestie.
Rettamente rileva Waree – studioso del Diritto –, che i Giudici, i Potenti, i Vescovi, la Polizia, le Comunità intere si sono sempre comportati come se gli Animali potessero intendere il linguaggio umano, e fossero soggetti, in quanto creature ragionevoli, ai dettami della Legge, divina, o umana, che fosse. Perciò – leggiamo nelle cronache giudiziarie –, quando i ratti, le cavallette, i bruchi voraci, o altre bestie perniciose pullulavano in una contrada, gli abitanti non conoscevano mezzo più sicuro che rivolgersi ai locali parlamenti, per “sfrattarli” dai luoghi che infestavano. “Si procedeva allora, con solennità, contro di loro: venivano ascoltati i querelanti e gli imputati che parlavano per il tramite d’un avvocato nominato d’ufficio, e la sentenza conclusiva veniva emessa secondo le formule di rito”. Una di queste sentenze si trova in Sainte-Foix: “Faisant droit à la requête des habitants de Villeneuve, admonestons les chenilles (cioè, i bruchi) de se retiré dan six jours, à faute de faire, les déclarons maudites”: le bestioline avevano sei giorni di tempo per obbedire all’ingiunzione, altrimenti sarebbero state “Maledette”.
Nel 1590, in Alvernia, “un giudice cantonale nomina un esecutore ai bruchi; la loro causa viene difesa in contraddittorio; alla fine viene ingiunto a tutte le larve di ritirarsi in un piccolo terreno e lì porre fine alla loro miserabile esistenza”.
Se le bestie attaccavano in massa, ma come seguendo un misterioso disegno, il Foro prevalente a cui si ricorreva, per disinfestare i campi, era il Tribunale Ecclesiastico. In generale, la Chiesa non apprezzava nuove “piaghe d’Egitto” nei propri territori, ormai definitivamente cristianizzati. Secondo le Autorità religiose, era il diavolo che aizzava gli animali. Così, per esorcizzare e ricondurre alla “ragione” le bestie che invadevano le diocesi, i Vescovi ricorrevano al pubblico anatema. Animali impuri come topi, locuste, cavallette e tutti gli altri insetti apportatori di flagelli, venivano solennemente “scomunicati”.
A Laon, in Francia, in un processo datato 1120, famelici bruchi d’erba e insaziabili ratti campagnoli fecero questa triste fine. Anche alle sanguisughe fu riservata la stessa sorte: nel 1451 il vescovo di Losanna le scomunicò, per aver causato una moria di pesci.
Alcuni giureconsulti, più ragionevoli degli altri, protestarono allora che non si potevano allontanare dalla Comunione dei bruti che non l’avevano mai fatta, e alla quale non intendevano neppure accedere in futuro. Una tale obiezione si trova per esempio nel libro di Jacques Èveillon, Traité de l’Excommunication et Monitoires (1651), al cap. XXXIX.
Ancora nel Seicento, in Spagna, – ci avverte lo storico Fernandez-Armesto – si celebravano processi contro i topi e si praticavano esorcismi contro le locuste”.
Capolavoro di garantismo e civiltà giuridica: a Autun, in data imprecisata, si istruì un processo contro i sorci che scorrazzavano per le campagne. Fu nominato, come in Alvernia, un difensore d’ufficio per i ratti: il quale protestò con i magistrati perché i termini che avevano assegnato a queste bestie per comparire in giudizio erano troppo ravvicinati. La Corte, secondo lui, avrebbe dovuto tener conto del grave pericolo che i topi dovevano affrontare per raggiungere il tribunale cittadino, attraversando strade “dove i gatti erano in agguato per ghermirli al loro passaggio”. Il giudice magnanimo consentì a uno slittamento del processo.
[dalla Fantaenciclopedia]