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Colori (1): Castel e la "Musica per Sordi"

Il poeta tedesco Heinrich Heine descrive nelle Notti Fiorentine il pittore Johann Peter Lyser, un artista “sordo”, ma egualmente in grado di gustare, da competente, una buona esecuzione musicale. “Malgrado la sordità, amava entusiasticamente la musica e si dice ch’egli fosse capace, trovandosi piuttosto vicino all’orchestra, di legger la musica dal viso dei suonatori e di giudicare dai movimenti delle loro dita della bontà o meno dell’esecuzione. Egli scrisse perfino dei rendiconti di opere su di un pregevole foglio d’Amburgo. Perché infine meravigliarsene? Dagli aspetti visibili del concerto il pittore sordo ricavava le note“. Lyser immortalò anche coi suoi disegni e schizzi Paganini, come se fosse stato nelle condizioni di apprezzare i virtuosismi del grande violinista.

Il pittore aveva evidentemente qualità che non tutti possono vantare. Ma: c’è mai stata una speranza, per i deboli di udito, di apprezzare pienamente la musica?  Se si guarda alla storia, la risposta non può che essere affermativa. Fosse stata coronata dal successo una precisa convinzione del gesuita Louis-Bertrand Castel (1688-1757) le differenze tra gli “ascoltatori”, compresi quelli più menomati, sarebbero state abolite. Tutti i vedenti sarebbero stati in grado di osservare “la Musica al lavoro”.

Nel campo delle “traduzioni” da un’Arte all’altra – o delle “trasposizioni artistiche” –, poche invenzioni reggono il confronto con il Clavicembalo per gli Occhi o Clavicembalo a colori escogitato da Castel. Affascinato, a modo suo, da questo strumento sconcertante, Voltaire coniò per l’autore il titolo onorifico di “Don Quichotte des mathèmatiques”.

A Castel viene generalmente attribuita la scoperta dell’analogia tra colori e musica – anche se qualcuno sospetta che il vero scopritore sia stato invece il misterioso pittore Arcimboldi (o Arcimboldo). Fu l’unico, però, a trarre da queste sue ricerche un’intuizione folgorante: e cioè che, grazie a un nuovo macchinario, si poteva rendere visibile il Suono.

La Scala dei Colori relativi ai Suoni, secondo David Ramsay Hay (1847)

Del suo “clavessin des couleurs”, o clavicembalo oculare, non dovevano giovarsi solo i sordi. Castel guardava più oltre, era un rivoluzionario, in campo artistico. Opinava, che la musica allieta, ma è fuggevole, mentre un quadro dipinto resta per sempre. L’ambizione del gesuita, era quella di poter tappezzare le stanze aristocratiche e borghesi, arredandole con Minuetti, Concerti, Sarabande. Tutte opere, queste, appese al muro. La Pittura – ne era convinto – è la perfezione a cui la Musica tende.

L’inventore parla del suo provvidenziale strumento, per la prima volta, in Nouvelles experiences d’optique – un libro del 1735. Il “Clavicembalo per gli Occhi” era simile, a quanto pare, a una pianola meccanica, ed era in grado di visualizzare qualsiasi composizione musicale. Il pianista, doveva pigiare i tasti come stesse “suonando” normalmente uno spartito, anche famoso, per clavicembalo, ma l’apparecchio seduta stante lo trasformava in un concerto di colori proiettati nella sala. A ogni nota o gruppi di note corrispondeva un colore, apprezzabile dagli spettatori (ma non dall’uditorio): grazie, pare, a un avveniristico sistema di specchi e vetri illuminati. Il blu era l’ut, il rosso, il sol, il verde, il re.

Il successo in campo musicale era, così, alla portata, persino, del dilettante digiuno del pentagramma: un colore ben fatto, un accostamento cromatico brillante, e altre simpatiche arlecchinate, avrebbero riscosso un subisso d’applausi, anche tra il pubblico più raffinato.

Il prototipo del Clavicembalo vide la luce il 21 dicembre 1734. Ma il progetto di Castel, purtroppo, non superò mai la fase pionieristica, ideativa, perché nessun atelier ebbe il coraggio di realizzare in serie la macchina benefattrice.
Castel era pure sicuro di poter realizzare a breve un clavicembalo a “odori”, sostituendo i profumi alle note: invenzione benemerita, forse destinata soprattutto ai sordo-ciechi: ma, anche di questa, non se ne fece nulla.

Arnold Schönberg: Lo Sguardo Rosso

Nicholas Saunderson, professore non-vedente “che insegnava ottica in Inghilterra”, uno dei protagonisti della Lettera sui Ciechi di Diderot, divenne famoso ai suoi tempi per aver detto – novello san Tommaso –: “se volete che io creda in Dio, dovete farmelo toccare”. Un giorno gli chiesero se riusciva ad avere la minima idea di che cosa voleva dire un bel colore rosso. “Certo, disse lui arditamente, – è come il suono squillante della trombetta”.
Se i filantropi avessero preso sul serio ingenuità commoventi come questa, avrebbero potuto rovesciare l’intuizione di Castel: inventando un macchinario in virtù del quale anche i ciechi avrebbero potuto apprezzare la pittura.
Audaci Orchestre, dotate di strumenti anche automatici, avrebbero svolto il ruolo di Tavolozze di Colori per Non-Vedenti. Tromba: rosso. Violino: giallo. Timpano: tamarindo.
L’arte che nel secolo XX fu considerata “moderna”, l’arte non figurativa, si sarebbe prestata meglio di ogni altra a questo tipo di “traduzioni”.

Wassily Kandinsky: Impression III (1911), ispirato da un concerto di Arnold Schönberg

[in copertina: Walt Disney Archives: “Toccata and Fugue in D Minor“, concept art, episodio realizzato da Oskar Fischinger per il film Fantasia (1940)]

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