Nel buddismo zen, che trae le conseguenze estreme dall’insegnamento del Buddha, la Verità sulla Verità non è trasmettibile. I mistici occidentali, tornando dall’estasi, qualcosa possono raccontare, anche se non tutto. Nello zen è impossibile. Il Buddha non è separabile dall’Illuminazione, e l’Illuminazione (che viene chiamata Satori) giunge improvvisa. Non c’è mezzo sicuro per procurare l’Illuminazione, né per insegnarla. Tuttavia, si possono suggerire tecniche per approssimarla, e sperare che vadano a buon fine.
Riassume Borges: « per provocare il satori, il metodo più comune è quello di usare il koan, che consiste in una domanda la cui risposta non risponde alle leggi della logica. L’esempio classico viene attribuito a vari maestri. A uno di essi fu domandato: “Che cos’è il Buddha?”, ed egli rispose: “Tre libbre di lino”. I commentatori osservano che non si tratta di una risposta simbolica». Un altro maestro zen, per rispondere «alla solenne domanda: “Che cos’è il Buddha?”, si sfilò un sandalo, se lo mise sulla testa e se n’andò».
Il surrealismo venne quindi al mondo con uno scopo fondamentalmente religioso, prima che i francesi glielo sottraessero tra le due guerre del Novecento.

Se un discepolo chiede qualcosa inerente la dottrina del Buddismo Zen, il Precettore è autorizzato anche a urlargli semplicemente contro, a prenderlo a ceffoni, o a colpirlo con una pedata. Dopo aver subito un calcio doloroso e violento da parte di Ma-tsu, un suo allievo si rialzò benedicendolo: ora comprendeva simultaneamente tutte le verità predicate dal Buddha. Aveva raggiunto il satori.
Noi occidentali difficilmente comprendiamo i mistici, ma ancora più complicato ci risulta afferrare i tesori dell’insegnamento zen, il quale non disdegna neppure le mutilazioni, se hanno uno scopo didattico.

«Gutei alzava il dito tutte le volte che qualcuno gli faceva una domanda sullo Zen. Un ragazzo che lo accompagnava cominciò a imitare questo suo gesto. Quando qualcuno gli domandava su quale argomento avesse predicato il maestro, il ragazzo alzava il dito. Gutei venne a sapere della sua impertinenza. Lo acciuffò e gli tagliò il dito. Lui scoppiò in lacrime e fuggì via. Gutei lo chiamò e lo indusse a fermarsi, e quando quello volse il capo verso di lui, Gutei alzò il dito. In quell’istante il ragazzo fu illuminato».
Roland Barthes menziona un’altra di queste perle d’Istruzione: «un koan buddhistico dice: “Il maestro tiene a lungo sott’acqua la testa del discepolo; poco a poco le bollicine d’aria si diradano; all’ultimo momento, il maestro tira fuori il discepolo e lo rianima; quando desidererai la Verità come hai desiderato l’aria, allora saprai cos’è”».
Per fortuna, la dialettica tra Allievo e Maestro è articolata, e consente la ritorsione, la ripicca, e persino la rappresaglia: «Goso disse: “Quando incontrate un maestro di Zen per la strada, non potete parlargli né affrontarlo col silenzio. Che cosa farete?”». Mumon risolse l’enigma:
“Incontrando un maestro di Zen lungo la strada
Non affrontatelo né con le parole né col silenzio.
Dategli un pugno in faccia,
e vi diranno che capite lo Zen”.

[dalla Fantaenciclopedia]
[in copertina: Un monaco Zen brucia l’immagine del Buddha (Scuola di Katsushika Hokusai)]