La necropoli più famosa in tutto il mondo è probabilmente quella del Cairo, con le tre grandi piramidi di Chefren, Cheope e Micherinos. Ce ne sarebbe anche una quarta, e di essa parla Erodoto: è il sepolcro della figlia di Cheope, famosa per la sua bellezza, che la costruì dopo anni di duro meretricio. Narra infatti lo storico greco, che “Cheope in difficoltà economiche sarebbe giunto a tanta infamia da mandare la figlia in un postribolo con l’ordine di incassare una determinata cifra di denaro; […] la ragazza ricavò la somma richiesta dal padre e per conto suo pensò di lasciare memoria di sé, chiedendo a ciascuno dei suoi clienti di donarle una pietra: con queste pietre, a quanto mi dissero, si fece costruire la piramide posta in mezzo alle altre tre e di fronte alla più grande; ogni lato di essa misura un pletro e mezzo”[50 metri circa].
Nonostante Erodoto abbia testimoniato che la piana di Giza, al Cairo, ospitava le Tombe dei grandi Re egiziani, la notizia, con il tempo, si perse. Ancora nel Medioevo, si era convinti, in Occidente, che le piramidi non fossero altro che granai, gli immensi magazzini nei quali il Faraone della Bibbia, avvertito da Giuseppe, aveva stipato le provviste per fronteggiare la carestia annunciata dai suoi sogni .
Preda d’un raptus egualmente medievale, nel 1859 l’americano John Taylor (in The Great Pyramid, what was built, and who built it?) argomentò che le proporzioni geometriche della piramide di Cheope non potevano essere opera della scienza pagana degli Egizi, e indicò in Mosè il vero autore di quell’opera monumentale. Tenne nel debito conto, formulando una tale sciocchezza, che Mosè era (o era stato per anni) “egiziano”, anche con posizioni di riguardo: era cresciuto tra loro come uno di loro.
Un altro statunitense, Charles Piazzi Smyth, ereditò questa teoria esasperandone le ricadute pratiche. Per lui e i suoi seguaci, la vera Scienza, timorosa di Dio, doveva ispirarsi alla volumetria della Grande Piramide, desumendo da essa i criteri giusti e basilari su cui andava fondato ogni metodo di calcolo degli Spazi, dei Pesi, delle Misure, delle Quantità.
Piazzi Smyth costituì, a questo scopo, gruppi “Piramidologici”, intrisi di fanatismo pseudo-religioso. Questi clan aborrivano ogni altro sistema di misurazione che non fosse il loro. “A morte, a morte ogni sistema metrico!”, proclamava il verso finale del loro inno. Quello decimale, in particolare, veniva avversato, in quanto in odore di ateismo. Non per nulla era stato imposto, dai francesi, durante il Regime del Terrore post-rivoluzionario.
Persino adesso, nei tempi in cui scrivo, qualche nostalgico Piramidologo si industria di spiegare i misteri di quel sepolcro egizio, come se contenesse i germi di una scienza misteriosa, forse “extraterrestre”. Aliena sembra sempre la Scienza per chi non si dà la pena di studiarla, neanche come Storia.
C’è poi un’altra anomalia, che Piazzi Smyth e i suoi seguaci affrontano, senza trovare, a mio parere, una soluzione ragionevole. Se la Grande Piramide riassumeva tutta la Scienza umana e divina, le piccole piramidi, erette al suo fianco, a che cosa sarebbero servite? Cos’erano: svarioni, errori di calcolo scartati, come brutte copie d’un compito per l’esame di trigonometria?
[dalla Fantaenciclopedia. Chi vuole approfondire le tesi smythiane e chi crede (come me) che un buon riassunto sia in certe circostanze migliore degli originali, ricorra all’imprescindibile Martin Gardner, Fads and Fallacies in the Name of Science (capitolo: “The Great Pyramid”), e naturalmente a Wilcock, “Charles Piazzi-Smyth”, ne La Sinagoga degli Iconoclasti]