Per dedurre (o meglio: “abdurre”) chi si celava, nel carcere della Bastiglia, dietro la famosa “Maschera di Ferro” fu usato un metodo investigativo romanzesco ma immensamente popolare. Quel detenuto, si immaginò, aveva avuto i più nobili natali. Voltaire (Le Siécle de Louis XIV), e Dumas padre (Il Visconte di Bragellonne). raccolsero questa leggenda: forse era addirittura un Re; perciò lo si teneva segregato badando bene che risultasse irriconoscibile. Serrata con un ermetico chiavistello, l’armatura ferrosa che gli nascondeva il volto gli impediva persino di parlare. Facile allora ragionare così: l’eccesso, la sovrabbondanza di mistero – insieme all’abuso di complici del misfatto e al dispendio di mezzi coercitivi illimitati – denunciavano di sicuro un complotto delle più alte sfere; dimostravano, di sicuro, che la vittima doveva essere persona più che ragguardevole: tanto potente, forse, da mettere in pericolo un trono e un’intera nazione.

Un’altra tradizione – che non riposa ugualmente su certezze, né documenti scritti – vuole che l’uomo con la famosa Maschera di Ferro fosse Nicolas Fouquet, marchese de Belle-Isle. Internato dapprima nel carcere di Pinerolo, il nobile, sotto mentite spoglie, sarebbe stato trasferito poi alla Bastiglia, indossando dal momento del suo arrivo una bardatura di ferro che gli nascose il volto fino alla morte. Punizione alquanto severa per chi aveva avuto, come colpa principale, quella d’esser stato troppo prodigo: rivaleggiando – è vero – con i potenti, ma solo con l’intento manifesto di lusingarli.
Fouquet, soprintendente delle finanze di Luigi XIV, invitò il Re Sole a un intrattenimento, nel suo palazzo di campagna, e il povero sovrano si trovò nel mezzo di una festa che superava in fasto, in gusto, in divertimento, qualsiasi delle sue. Per di più, la residenza campagnola del soprintendente era persino più lussuosa di Fontainebleu. Il re era già adirato con il marchese per altre quisquilie e scappatelle (come quella di avergli soffiato un’amante), ma quel ricevimento fu fatale. Con una scusa, quindi, secondo Mouchet (Dictionnaire contenant les anecdotes de l’Amour), Luigi XIV lo fece arrestare e gettare in carcere nelle condizioni più inaudite e infamanti.

Il destino del ministro, così fosse, sarebbe certo tragico ma anche un po’ farsesco: e infatti ricorda molto da vicino uno dei capolavori comici di Peppino de Filippo: “Quale Onore!”, un atto unico del 1932 nel quale un modesto impiegato di banca invita a pranzo il suo direttore e, per far colpo su di lui, noleggia un’orchestra, si fa prestare abiti, gioielli e mobili preziosi, e raccatta persino un maggiordomo di fortuna. Talché: “Troppo lusso!”, lo rampogna il direttore, e lo licenzia, perché sospetta abbia approfittato del denaro della banca.
Resta però un dubbio, che questa ricostruzione non risolve: perché bardare crudelmente, a Pinerolo, il Fouquet con una “Maschera di Ferro”, visto che tutti sapevano chi era e che era finito in carcere a vita per appropriazione indebita, dopo aver schivato la scure del carnefice?

Esiste anche l’ipotesi che il detenuto della Bastiglia volesse volontariamente celare il proprio aspetto, come il protagonista – personaggio realmente esistito – del “Velo nero del Pastore”, stupendo racconto di Nathaniel Hawthorne. Ma questa interpretazione fascinosamente “letteraria” non regge alla verifica dei fatti storici: il carcerato, quand’era in transito a Pinerolo, fu visto privo della maschera di ferro affacciarsi alla finestra della cella, e poi sorpreso a conversare amabilmente con qualche ospite. Fatuità che il Pastore hawthorniano, ottenebrato da un imperdonabile e insanabile “rimorso”, non si sarebbe mai concesso.









