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Marzo 7: "Giornata mondiale della Preghiera" (2)

IV- Paolo [Romani 8, 26] ci avverte: poiché, pregando, “nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare”, allora lo Spirito, venendo in aiuto alla nostra debolezza intercede per noi “con gemiti inesprimibili”. La vera preghiera è inarticolabile, inaudibile per l’orante stesso.

 Chi prega deve distruggere ogni scoria di Memoria e di Volontà. Votarsi all’ Anestesia. Dimenticare il senso di ciò che dice, mentre dimentica i propri sensi. Chi prega, non deve sapere di esistere. Come dice Zolla: “chi prega nella piena unità” col suo Dio, “non s’accorge di pregare, perché farlo vorrebbe dire distrarsi dalla sostanza divina per pensare alla preghiera con cui si prega. Chi sta in orazione non sa se sta o no in orazione, perché non pensa all’orazione ma a Dio”.

  La Preghiera è Sovrana. Non solo il Mondo circostante è spento, ma: chi prega veramente, non sa di pregare. È come un sonno.

“Ego dormio, et cor meum vigilat” , si legge nel Cantico dei Cantici.

un direttore spirituale testa la concentrazione
nella preghiera di una educanda
che sgrana le perle d’un imponente rosario
[dipinto di Corlesisz van Haarlem]

V- Secondo certi teologi cristiani, un Dio degno di questo nome non esaudisce per principio le suppliche degli uomini. Neppure di quelli più bisognosi. Come ha notato Michel Foucault, il povero che, dopo averla implorata, confida nella Divina Provvidenza per sfamarsi, sta rinfacciando al Signore, con una certa furberia, di non aver concesso a lui personalmente quanto era stato promesso a tutti nei Vangeli.

Chi ama Dio e segue i suoi precetti, non deve mai chiedergli, prima, durante o dopo la preghiera, nulla di preciso, né per sé, né per altri. Così ragiona il mistico. Altrimenti si rischia la bestemmia.

Ibn ‘Atà’ Allàh, musulmano, condensa bene questo pensiero: “Cercare qualcosa da Dio è accusarlo”. Chi nell’orazione mèndica, domandando all’Onnipotente di concedergli qualcosa che non ha, o di togliergli qualcosa che ha – come, ad esempio, una malattia –, di fatto, biasima e colpevolizza Iddio perché gli ha negato la sua attenzione o i suoi favori. Bisogna dunque pregare il Signore senza intenzione, senza movente, per “improvvisazione”, per il puro piacere di pregarlo? No, neppure questo. Sarebbe, anzi, peggio.  «Dice lo Spirito Santo per mezzo del Savio: “Ante orationem praepara animam tuam, et noli esse quasi homo qui tentat Deum [Ecclesiaste, 18, 23]: “Avanti l’orazione preparati bene per essa,  e non sii come l’uomo che tenta Dio”. Notano san Tommaso, e san Bonaventura sopra queste parole, che l’andare all’orazione senza preparazione, è come tentar Dio» [Alfonso Rodriguez, Esercizio di perfezione].

Traduco: adulare, lusingare Iddio senza un reale trasporto, rivolgergli parole innamorate senza intenzione santa, ma per automatismo; significa “circuire” Iddio, proprio come fa il dongiovanni, o il gigolo, che ripetono formule a memoria per ingannare e traviare le fanciulle d’ogni età. Il Diavolo tenta l’Uomo, e l’Uomo a sua volta tenta Dio con galanterie da vile seduttore.

In questo quadro di rapporti così delicato, all’interno del quale il rischio di urtare la più elevata delle Suscettibilità – nonostante le migliori intenzioni –, è altissimo, e reale, la scelta migliore pare quella di Apollonio. Il filosofo di Tiana concentrava tutto il suo sapere, tutta la sua pietà, tutta la sua religione, in una sola, breve preghiera: “O Dei, datemi ciò che mi spetta”. Cos’è? Non si sa. Non si deve sapere.

Anonimo: Allegoria della Preghiera

VI-  I Rabbini di Israele misero a punto un trattato, si può dir così, di “Igiene Orante” per prevenire ogni forma di “impurità” che rendesse vano l’effetto delle preci e dannosa la lettura delle Cose Sacre. Il campionario delle loro esercitazioni, in questo campo, fu vastissimo. 

  La più popolare preghiera della religione degli Ebrei comincia con queste parole: “Ascolta Israele, il Signore nostro Dio, il Signore è unico. I Dottori e i Maestri si interrogarono se lo “Ascolta” avrebbe avuto effetto qualora fosse stato letto da un sordo – e molti di loro propendevano per il no: in quanto il sordo non poteva “ascoltare”, e, come tale non faceva parte, in quel momento, di Israele. La preghiera gli era proibita (si suppone, a gesti): triste fato che condivideva coi mendicanti, con i minorenni, con le donne, gli schiavi e le vittime delle proprie polluzioni.

  Ci si domandava anche se lo sposo novello, intonando l’”Ascolta”, non lordasse la preghiera pronunziandola con animo distratto dalla concupiscenza. Si presero precauzioni come questa: “lo sposo è esonerato dal recitare lo “Ascolta” nella prima notte di nozze e anche fino all’uscita del sabato, se non ha compiuto l’atto”. Tuttavia gli stessi Rabbini operarono un distinguo in questa regola, ennesima dimostrazione che, per i Dotti Ebrei, la regola migliore è quella che possiede più eccezioni: «Chi sposa una vergine è esonerato (dal recitare lo “Ascolta”), chi sposa una vedova è tenuto (a recitarlo)». Il motivo, è abbastanza evidente, per un adulto.

Rembrandt van Rijn: David in preghiera 

Ci si interrogava, infine, se lo “Ascolta” poteva essere recitato, a letto, supini o di fianco. Le scuole si divisero.

Rabbi Josèf era contrario alla preghiera da supini. Rabbi Jehoshua ben Levi, da parte sua, addirittura “malediceva chi dormiva supino!”: quindi, a maggior ragione (seguendo la regola logica a minori ad maius), non si poteva dire la preghiera in questa posizione. I Dottori poi convennero che, «in quanto alla recita dello “Ascolta”, anche se si sta sul fianco, è proibito». Qualcuno obiettò: «Eppure Rabbi Johanàn recitava lo “Ascolta” stando di fianco». Risposero: “Il caso di Rabbi Johanàn è diverso, perché era obeso”

 Non sempre, è vero, i nostri “bisogni” fisiologici ci avvicinano al Signore. La preghiera, la meditazione, escono turbate dalla loro concomitanza. 

Insegnarono di comune accordo i Dottori di Israele: chi recita le Diciotto Benedizioni, è tenuto ad osservare norme elementari di igiene: se, mentre prega, “è costretto a orinare, deve interrompere fino ad aver finito e poi torna a pregare” – Salvo dividersi in scuole divergenti sulla spinosa questione: “da che punto, però, deve ricominciare?”. Un’opinione diceva: dal punto in cui si è fermato; un’altra: dal principio. L’armonia è totale solo nel caso il bisogno fisiologico preceda l’orazione: “Uno che sente il bisogno di evacuare non deve pregare, e se ha pregato, la sua preghiera è abominevole”. [Detti di Rabbini e Trattato delle Benedizioni (Berakhot) del Talmud Babilonese].

  Il Profeta dell’Islam era più compassionevole dei Rabbini e diede – riguardo l’orario della preghiera e le posizioni da tenere durante l’orazione –, regole precise ma adattabili alle disgrazie dei fedeli. Chi, per malformazione o malattia, non può pregare né in ginocchio, né seduto, né in piedi, è autorizzato a farlo disteso, purché sul lato destro. Chi è ulteriormente menomato, può usare il lato sinistro, e dove ciò sia impossibile resti pure sdraiato sulla schiena. Se anche questa postura gli fosse negata da natura, morbo o piaga, si ponga sul ventre a pregare, e tenga la testa rivolta verso la qiblah (la Mecca). Chi non può fare nessuna di queste cose, sappia che la sua preghiera sarà nulla.

Karl Wilhelm Gentz: Appello alla preghiera di un Muezzin

  A ‘Imran, figlio di Husayn, “che soffriva di emorroidi”, il Profeta – Iddio lo benedica e gli dia eterna salute – rivelò che chi compie la preghiera da coricato, riceve in cambio da Dio solo un quarto del merito di chi la fa in piedi. [Da al-Buhari, Detti e Fatti del Profeta dell’Islam].  

VII- Nachman di Breslau raccontava che il famoso Baal Shem Tov fu punito per qualche suo peccato con la perdita della memoria. Non ricordava neppure le preghiere, né quelle tradizionali, né quelle che lui stesso aveva inventato. Si trovava per fortuna con un suo discepolo e a costui chiese se conservava nella mente qualcosa di quello che gli aveva insegnato. L’allievo, confondendosi, ammise d’aver dimenticato tutto e, sollecitato ancora, sospirò che di tutto quello che aveva imparato o sentito, detti, parabole, preghiere, gli era rimasto impresso solo l’Alfabeto. “E ti sembra poco?” – dichiarò felice il Baal Shem Tov. Fece recitare al discepolo tutto l’Alfabeto Ebraico e andò in estasi. Recuperò la memoria e così infranse il piano del Satana di perderlo, e di far perdere, insieme a lui, la speranza degli uomini.

Questo apologo insegna che l’Alfabeto Ebraico, da solo, contiene tutte le Preghiere, e una volta recitato con la stessa contrizione, ottiene lo stesso effetto.

La parabola avrebbe forse fatto felice Bertrand Russell. Ivi si dimostra che: la Preghiera che contiene tutte le Preghiere non è una Preghiera.

Marc Chagall: La preghiera di Isaia

VII-  Attesta Langer, studioso dei chassidim: ‘‘Chi nella preghiera trascura le vocali o sbaglia nel leggerle, è perseguitato dopo la morte da tutti i puntini e trattini da lui bistrattati, i quali lo accuseranno presso il Signore’’.

Quando – dunque –, morendo, saremo giudicati, si insedierà un Tribunale al quale si presenteranno – come accusatori – i più insospettabili testimoni della nostra integrità: le parole tronche.

Arrivati nell’Aldilà non ci si annoierà di certo: ogni momento della nostra vita verrà sottoposto a indagine: verremo giudicati per una parola mozza, per uno sguardo, per un battito di ciglia. I Processi dureranno allora giornate intere e interminabili, fino a diventare anni, (si spera) secoli. L’Inferno – ineluttabile – può attendere.

[SEGUE DA: “I PROFESSIONISTI DELL’ORAZIONE”]

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