Una sincope imbevuta di silenzio – il silenzio degli agnelli condotti al macello – colpiva Re, Principi, Presidenti eletti, quando incontravano (tra Otto e Novecento) l’Anarchico racchiuso, come una figura di Tarocchi, nel loro Destino.
Raggiunti dai proiettili all’improvviso, o da istantanee coltellate, i Potenti della Terra raramente ebbero il tempo di profferir verbo, né agonizzando, né prima, alla vista repentina dei loro boja. La loro reazione, in genere, è chiara: se lo aspettavano. Di qui: parole annichilite, occhio vitreo.

presidente della Repubblica francese, nel 1894
Interrogatorio dell’anarchico Caserio, che uccise il Capo di Stato in Francia: «“Avete detto che il presidente vi fissava negli occhi” domandò il giudice istruttore a Caserio. “Quello sguardo non vi ha turbato, non vi ha fermato?” “No,” rispose Caserio. “Non vedevo che una barba nera: il presidente non aveva Sguardo”» .
Cosa impone il protocollo ai Prìncipi quando spunta tra la folla il loro assassino armato? L’attentatore è come se mandasse un forte odore “popolare”, di terra concimata, letti d’immondizia, scarti industriali, igiene trascurata – un miscuglio intollerabile per narici delicate. “Fare come se non esistesse, come se non si esistesse”, sembra essere la tacita parola d’ordine che si scambiarono i re, i nobili, i potenti.

L’eroina inimitabile di questo “Galateo in caso di attentato Anarchico” fu sicuramente Elisabetta di Baviera, moglie di Francesco Giuseppe Primo, la “Sissi” cinematografica che commosse sterminate platee sitibonde d’emozioni da fotoromanzo, ma anche raffinati intellettuali. Il “caso dell’infelice Elisabetta”, affascinava per esempio lo scrittore italiano Alberto Savinio, il quale annovera questa sciagurata tra le “Vittime d’un grande Errore”. Il terrorismo anarchico certo fu di più: atrocità ideologica allo stato puro, ma di solito non sbagliava i simboli da colpire. Invece l’attentatore di Sissi, Luigi Luccheni, un oscuro manovale d’origini italiane, infierì sull’imperatrice d’Austria per un equivoco.

Girava con una lista di potenti da sopprimere, il Gotha che villeggiava in Svizzera; ma: l’erede al trono di Francia, che era il suo vero obiettivo, aveva appena lasciato l’albergo per tornare in patria. Ripiegò allora su Sissi, del tutto casualmente. Mentre passeggiava lungo la sponda del lago, l’attese nascosto dietro un ippocastano e, poi, la pugnalò con una lima. Lei, fece finta di nulla – come voleva il Protocollo. Signorilmente proseguì senza fermarsi. Savinio loda “la donna straordinaria, l’instancabile camminatrice, colei che, morta, sul molo di Ginevra camminava ancora”. Si accasciò, e rese lo spirito, solo venti minuti dopo l’attentato.

Il pensiero, purtroppo, non può che correre a quei versi dell’Orlando Innamorato tanto amati (e parodiati) anche da Edgar Allan Poe:
“E come avvien quand’uno è riscaldato,
Che le ferite per allor non sente,
Così colui, del colpo non accorto,
Andava combattendo ed era morto”.
E così dev’essere apparsa ai suoi soccorritori, anche Sissi. Ella era ancora in lutto per il suicidio dell’amato figlio, il Kronprinz, a Mayerling; e tanto strettamente la fasciava il suo spesso abito nero, che non morì per la pugnalata vigliacca, ma perché il sangue, soffocato da busto e vesti, non trovò sfogo esterno nell’emorragia.

In questa morte, però, non c’entra il rango. È del tutto creaturale, ma sconsolante, e patetico, il “non accorgersi di morire”. Esperienza che la donna e l’uomo condividono con le bestie più semplici e macchinose. Oscuramente completiamo il dovere della specie, come il soldato, lasciato solo nella fortezza vuota, ancora “monta” la guardia. Noi tutti, forse, siamo o saremo la cicala di Kobayashi Issa, autore di questo stupendo haiku:
“Aonoke ni
Ochite nakikeri
Aki no semi”.
“D’autunno la cicala –
caduta riversa
sèguita a frinire”.

[DALLA FANTAENCICLOPEDIA, VOCE: “MORTE”]