I- Pensiamo di sapere tutto di Walt Disney, perché ci ha fatto compagnia fin da piccoli come un nonno o un vecchio zio premuroso capace di raccontare infinite storie e di tenere viva la nostra curiosità con i suoi racconti e le sue favole: ma non è così. E non ci rendiamo neanche conto di quanto prevalgano in noi, in questa falsa conoscenza, i pregiudizi, le fake news, le leggende, le calunnie.
Si disse che era stato un agente dell’FBI, attivo nello spiare le frange comuniste di Hollywood. Non era vero, il libro di Mariuccia Ciotta Walt Disney: Prima stella a sinistra, lo dimostra. È più vero che in un certo periodo della sua vita fu considerato, da Edgar Hoover e l’FBI, amico di comunisti hollywoodiani.
Ricordo che già alla fine degli anni ’60 circolavano voci sulla sua tomba vuota: dicevano che si fosse fatto congelare, ancora prima della morte, per potersi risvegliare nel futuro, quando la tecnica e la scienza gli avrebbero consentito di rivivere, godendo di una sorta di immortalità. E c’è ancora chi lo crede. L’era digitale e “virtuale” nella quale viviamo, e che lo stesso Studio Walt Disney ha contribuito a fondare con le sue ricerche tecnologiche fin dagli anni ’50 (e con film come Tron, del 1982) fomenta e si nutre di queste leggende e le moltiplica. In quest’era social si gode nel denigrare i grandi uomini, le grandi donne del nostro tempo. Era così anche prima, ma adesso le calunnie viaggiano più veloci e ognuno può dire la sua impunemente.
Stilo, in breve, il riassunto delle principali accuse che sono state rivolte a Disney:
1) lezioso;
2) kitsch;
3) agente dell’imperialismo americano anche nel campo della cultura di massa – avvelenatore dell’immaginario;
4) reazionario – quasi nazista, amico di Mussolini e degli hitleriani
5) razzista, antisemita, ridicolizzatore degli afro-americani
6) vittima e propalatore di stereotipi: avrebbe introdotto nella cultura popolare un’idea distorta della natura e degli animali.
Ce ne sarebbe abbastanza per stroncare la fama di chiunque. Però noi, soprattutto noi atomici, noi analogici, come con un vecchio zio o un nonno d’altri tempi siamo disposti a trattarlo con indulgenza: perché in fin dei conti, quando eravamo piccoli, ci ha fatto divertire. No, l’indulgenza è immeritata, è peggio che la peggiore delle critiche. Perché il più devastante di tutti i pregiudizi è che Walt Disney non abbia più niente da dire e da dirci, che è superato, vecchio, stantio. Insomma, che Topolino sia come Spinoza ai tempi di Hegel, un animaletto morto e sepolto. Poi arriva per fortuna il libro: Walt Disney: Prima stella a sinistra, di Mariuccia Ciotta, a dimostrarci capillarmente, caparbiamente, che non è affatto così: che Disney è stato un artista geniale, che ha influenzato l’arte e le avanguardie di tutto un secolo, e che nessuno dei pregiudizi su di lui che abbiamo riportato, ha un fondamento. Un libro documentatissimo, pervaso da un’idea di “critica” (non solo cinematografica) innovativa, anche nel linguaggio, anche nell’approccio ai testi-film da analizzare, e in più – cosa rara nel nostro panorama – completato da interviste originali e inedite fatte da lei e veramente rivelatrici, come quella alla figlia di Walt Disney, Diane. (Della figlia di Disney parlo con Mariuccia in un’intervista che pubblico qui accanto).
Non valgono, contro i pregiudizi sempre attuali, neppure le investiture e gli elogi sperticati che Walt ha ricevuto da parte di grandi cineasti, di grandi filosofi e grandi intellettuali, come Ejzenstejn e Walter Benjamin, il quale ammise: Topolino è un topo “ingombrante per la filosofia”, e con lui bisogna fare i conti.
II- C’è un momento, evidente nella sua carriera folgorante, in cui Mickey Mouse incarna ottimismo, dinamismo, coraggio, solidarietà, caratteristiche essenziali per riprendere la strada del “sogno americano” interrotta dalla Grande Depressione. Sono valori che Disney esalta, facendo di Topolino il baluardo degli ideali rooseveltiani.
I derelitti, gli oppressi, i disoccupati, dal 1928 (nascita del Topo) agli anni ’40, riconoscevano in Mickey uno di loro.
In un bellissimo film di Preston Sturges, che in italiano si chiama I dimenticati (Sullivan’s Travels, 1941), il protagonista, il regista Sullivan, decide di schierarsi dalla parte dei più poveri e, per conoscerli meglio, si traveste da uno di loro. Comincia per lui l’inferno, come mai avrebbe immaginato. Viene arrestato, condannato a sei anni di prigione. Ma mentre sconta la sua pena assiste insieme agli altri carcerati alla proiezione di un cartone di Topolino. Tutti lo accolgono ridendo e scordando immediatamente le loro miserie, e lui subisce il contagio, e si sganascia.
Certo è un momento, prima di ripiombare nel loro tragico destino. Ma una risata franca e collettiva è meglio di qualsiasi fallace speranza; c’è in essa meno rassegnazione. Sullivan, perciò, decide di tornare a fare film “divertenti”, commedie, pensando all’accoglienza che hanno avuto tra i reietti le pazze esibizioni di Mickey Mouse.
III- I successi dello Studio Disney sono inseparabili dall’evoluzione del sonoro, e quindi soprattutto, dalla sincronia tra personaggi disegnati e Musica. Il momento vero in cui nasce Topolino è col primo cartone sonoro della storia del cinema: Steamboat Willie del 1928. Frank Capra ne rimase estasiato. “L’immagine e il suono erano sincronizzati splendidamente… Questo era un tipo di spettacolo assolutamente nuovo ed entusiasmante”.
In Steamboat Willie Topolino spalanca la bocca di una mucca e suona i suoi grandi molari come fossero tasti di xilofono. Mai visto o sentito nulla di simile: ecco quello che neppure Chaplin o Stanlio e Ollio avrebbero mai potuto fare!
Dai tempi delle Silly Symphonies, la musica aiuta, commenta, favorisce ogni possibile metamorfosi dei personaggi-Disney. La loro natura è musicale; il mondo immaginato da Walt è scandito, “animato” dalle Note.
Ejzenstejn lo sente in ciò profondamente affine: “è un genio Disney nel creare movimenti equivalenti alla musica” (e in questo senso precede le sue sperimentazioni con le partiture di Prokofiev).
Nell’Utopia di Walt d’un mondo umano riconciliato con la natura e il mondo animale, la musica ha un ruolo di eccellenza: senza musica neppure Disneyland sarebbe immaginabile.
Naturalmente non si può parlare di Disney e la musica senza citare Fantasia – il suo film più criticato e disprezzato, da lui prodotto nel 1940.
Tanto più la Musica tocca vette elevate di Arte, tanto meno deve essere illustrata – questa, in sintesi, l’opinione di Panofski, uno dei suoi principali detrattori. Il “pezzo” che più si presta alla stroncatura è ovviamente, in questo film, la “Pastorale” di Beethoven. Vorrei difenderlo, però. Perché: non è affatto un’illustrazione, è una parodia.
Sostiene Tex Avery (uno che se ne intende): la perfezione si porta dietro, come contrappasso, la parodia. Quel che è imperfetto, una volta parodiato non fa ridere. Se un poveraccio già stracciato scivola, provoca di solito meno risate che non il ruzzolone nel fango del riccastro che si dà tante arie nel suo immacolato, costosissimo, abito di gala
La Pastorale viene “illustrata” dallo Studio Disney con una parodia dell’Arcadia e dell’età dorata degli dei dell’Olimpo. Cioè: vengono parodiate e sbeffeggiate esattamente quel tipo di immaginazioni biedermeier che il pubblico della musica colta che si crede colto associa inevitabilmente a questo tipo di arte “elevata”. Nei decenni marcati dalla riscoperta del tragico di Jean Cocteau e Igor’ Stravinskij – la rinascita del peplum – Disney si impegna in una garbata presa in giro di tuniche e coturni, e in ultima istanza, quindi, dei gusti “nuovi” del borghese filisteo, smascherando il “kitsch” di cui ha bisogno. La parodia è, in genere, scandalosa, perché prende di mira ogni tipo di codifica sociale. Ma in Fantasia, e proprio nella “Pastorale”, urta ancora di più che sia associata alla sensualità, all’erotismo delle centaurette.
Ciò che interessava maggiormente a Disney, non era come “illustrare” le vette della Musica. Forse, semmai, come divulgarle e ricrearle in modo anche ironico. Le sue ambizioni come sperimentatore sono già dichiarate nel segmento di Oskar Fischinger: la resa “astratta”, attraverso cascate di colori, della “Toccata e fuga in Re minore” di Johann Sebastian Bach. Il sogno della “traduzione” di un’Arte in un’Altra, la Musica in Pittura, tenuto vivo da illuministi e matematici del secolo XVIII.
Ciotta ha una teoria sull’accoglienza negativa, pressoché universale, che ha ricevuto questo film: Fantasia, dice, va ritenuto uno shock piuttosto che un flop. Concordo. Fantasia dimostra che certe volte Disney è troppo avanti rispetto al suo stesso pubblico.
Il suo sguardo è perennemente proiettato sul futuro: è un pioniere, uno sperimentatore, che vuole sempre progredire in campi inesplorati e mai ripetere la stessa gag, mai replicare una formula di sicuro successo. Walt lavora sugli stereotipi, non li subisce.
Walt Disney ci invita, con questo film, ad applicate la nostra fantasia all’ascolto della Musica. Cerca dunque di rianimare la Fantasia in un pubblico tramortito dagli eventi storici e bellici e che ha perduto nell’alienazione, nelle catene di montaggio, ogni capacità di decollare fuori dalla realtà.
Perciò Fantasia rientra a pieno titolo nella sua Utopia: che si possa mostrare fin d’ora il Mondo, come se fosse Riconciliato.
[CONTINUA]