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Metodi di comunicazione alternativi al Telegrafo di Morse

Lo statunitense Samuel Finley Breese Morse (1791-1872), non inventò il telegrafo: ma brevettò la forma più economica con la quale costruirlo e utilizzarlo. Il suo codice “punto-linea” si impose e prevalse su ogni altro grazie alla sua semplicità e alla facile memorizzazione. Si usa tuttora. L’intuizione che lo mosse va ritenuta geniale, soprattutto perché Morse non era un ingegnere, ma un pittore americano, di gusto classicista. Si dice che cominciò a dedicarsi alla telegrafia quando venne avvertito con tragico ritardo, via lettera, che la moglie era morta per l’acutizzarsi di una malattia della quale sembrava oramai convalescente; le poste erano state così lente e il viaggio di ritorno tanto lungo, che lui poté piangerla solo quando la donna era già, da giorni, nella tomba.

Autoritratto di Samuel Morse

I- Precursore non solo del telegrafo ma anche del moderno “Fax” (inventato nel 1843 dallo scozzese Alexander Bain, ma perfezionato da Giovanni Caselli col suo “Pantelegrafo”) può essere considerato il procedimento escogitato da Pitagora nel VI secolo avanti Cristo per inviare messaggi a distanza ai suoi seguaci. Il sistema aveva un fondamento magico, del quale purtroppo si è perduta la formula integrale e persino la ragion d’essere.

Il grande matematico e filosofo esoterico – originario di Samo, ma poi esule a Crotone –, pare mettesse a bollire un certo numero di fave e le esponesse alla luce della luna, finché non “gettavano sangue”. Con questa sostanza umorale, Pitagora scriveva su un uno specchio ricurvo la frase che desiderava; poi opponeva la sua annotazione alla faccia della luna. Quando la luna era piena, ognuno poteva leggere sulla superficie del satellite le parole che lui aveva tratteggiato.
Questo sembra il vero limite dell’invenzione: non si potevano inviare comunicazioni dal contenuto intimo o privato, perché erano poi visibili a tutti. E dovevano indurre al riso o anche far spavento.

II- Già alla metà dell’Ottocento, gli Spiritisti appena formatisi in comunità erano convinti d’essere depositari d’una Scienza meravigliosa e nuova, che avrebbe rivoluzionato ogni campo del sapere, rendendo non solo il dominio dell’Ultraterreno perfettamente comprensibile, ma altresì riuscendo a spiegare i fenomeni naturali attraverso i fenomeni soprannaturali. Grazie ai Medium, anche il campo delle comunicazioni umane poteva essere rivoluzionato. “Si dice – scrive a questo proposito lo scienziato russo Mendeleev – che anche i nostri circoli spiritici abbiano cominciato a porsi obiettivi utilitaristici, e pare che gruppi di Kiev e della nostra città abbiano inviato in America propri delegati, per tentare di stabilire con essi una comunicazione a distanza di tipo spiritico, e verificare così la possibilità di sostituire in questo modo il telegrafo transatlantico”.


Mendeleev prese atto che i Medium ambivano ai più sofisticati traguardi, persino in campo produttivo, persino nel settore delle telecomunicazioni, ma rimase abbastanza dubbioso sulla loro capacità di ribaltare le leggi della Fisica. Al termine delle sue indagini, culminate nel ragguaglio Sullo Spiritismo, lo scienziato russo accusò anzi con molto garbo i fautori di quella pratica o disciplina di balordaggine, di credulità, pressappochismo, se non addirittura d’intenti truffaldini.

Lo scrittore argentino, e poi italiano, J. Rodolfo Wilcock, maestro del fantastico, sviluppò invece in un racconto fantastico le pretese dei medium, e prendendole (a modo suo) sul serio, immaginò che il più dotato tra loro, un filippino di nome José Valdés Y Prom (oppure Giuseppe o Giosuè Valdez, oppure, che è lo stesso, di Joss von Yprom, oppure – è sempre la stessa persona – J.V.Bromie, oppure Jonathan Waldenpromer, a seconda che di lui parlassero i giornali italiani, austriaci, svizzeri, inglesi), riuscisse a aprire a Parigi “la prima agenzia-stampa di tipo moderno”. Aborrendo – ovviamente – qualsiasi corrispondenza o comunicazione telegrafica, tre volte alla settimana Valdés Y Prom raggiungeva il suo ufficietto, cadeva in trance, e “gettava uno sguardo” sulle capitali del mondo. Poiché disprezzava le notizie piccanti, o le sorvolava, l’Agenzia si risolse in un fiasco, e chiuse presto.

III- Intorno alla metà del secolo XIX l’opinione pubblica mondiale non nutriva molte illusioni circa la possibilità che il Vecchio Continente e il Nuovo potessero scambiarsi messaggi telegrafici. Lo scetticismo era fondato: si trattava di snodare, tra Irlanda e Terranova, adagiandoli sul fondo sconosciuto, impervio e abissale dell’Atlantico, migliaia e migliaia di chilometri di cavo elettrico protetto da gomma naturale estratta da alberi, in un’epoca nella quale ancora non esisteva nave tanto grande da poterli stivare o contenere.
Inoltre, le reti elettriche erano in stato embrionale, non si sapeva ancora bene come utilizzarle a beneficio della comunità (la lampadina a incandescenza fu inventata da Edison solo nel 1878), per cui le apparecchiature telegrafiche non traevano energia da centrali che producevano elettricità, ma da un sistema di batterie e dinamo più o meno portatili e facilmente deperibili.

Cable Laying Telegraph Wire at the Greenwich Works

Fu in quel momento critico, e precisamente nel 1850, che a qualcuno venne in mente di sbarazzarsi in un colpo solo di questo groviglio gordiano di problemi: infischiandosene di cavi difettosi, di navi inadeguate, e persino dello stesso “Codice Morse”. La “Bussola Pasilalinica”, fu realizzata in quell’anno proprio per soppiantare il telegrafo, consentendo un dialogo continuo, serrato e simultaneo a qualsiasi distanza: quindi non solo tra Europa e America, ma fino all’Australia e alla Polinesia.  
Gli artefici di questa meraviglia scientifica si chiamavano Jacques Toussaint-Benôit  (de l’Hèrault), francese, e Biat-Chretien, statunitense. La Bussola consisteva in una semplice apparecchiatura, alta tre metri,  che funzionava sia da ricevente che da trasmittente. I due prototipi furono istallati a Parigi e (così si disse) a New York.

Come dice la parola stessa (“Pasilalinica”), il nuovo Telegrafo, strumento rapidissimo di comunicazione, andava “a Lumache”.
Ho descritto ampiamente, dettagliatamente, il suo funzionamento nella Fantaenciclopedia.

Riassumo: il principio su cui si basava il congegno dipendeva da una accertata e particolare qualità delle Lumache: quella di rimanere in contatto telepatico tra loro anche se separate da migliaia di chilometri.

Dopo averle fatte “familiarizzare” a due a due (procedimento essenziale dal quale dipende la buona riuscita della trasmissione), si devono prendere – così dicono le istruzioni – tante coppie di questi gasteropodi quanti sono i segni tipografici, compresi spaziatura e interpunzioni.
Supponiamo allora che a due esemplari delle nostre lumache, simpateticamente collegate tra loro, venga imposto il nome comune “M”, e che una sia spedita a New York e l’altra rimanga a Parigi. Una volta stimolata elettricamente, la lumaca “M” parigina, provocherà telepaticamente una convulsione visibile nella collega lumaca “M” di New York. Chi si trova lì, di fronte alla macchina gemella, prenderà allora diligentemente nota che il messaggio transoceanico comincia per “M”. E così via per tutte le altre lettere dell’alfabeto, “E”, “R”, eccetera, fino a completarlo. Niente di più facile e più economico.

Un giornale parigino, “La Presse”, tenne costantemente informata l’informazione pubblica sui progressi e gli esiti dell’invenzione. I cui risvolti “spionistici”, e quindi anche bellici, appaiono evidenti: a un agente di qualche Potenza, sarebbe bastato espatriare in territorio nemico con un pugno di lumache in tasca per avvertire i comandi militari di ogni manovra o spostamento sospetto di truppe. E allo stesso modo, “Bussola” alla mano, si potrebbe favorire un’invasione.

Purtroppo l’invenzione non sfondò, non se ne fece nulla. Finì tutto tristemente, e anche di questo, a lungo, si parla nella Fantaenciclopedia.

Resta il fatto, a ulteriore smacco per gli inventori del “Telegrafo a Lumache”, che nel 1866 un’impresa capitanata da Cyrus West Field riuscì effettivamente a collegare le due sponde dell’Atlantico col sistema inventato da Morse, depositando smisurati cavi elettrici gommati sul fondo dell’Atlantico. Dei vari tentativi, disastrosi, che precedettero l’ultima missione baciata dal successo, dà notizia, in modo splendido, lo scrittore Stefan Zweig, nel suo libro Momenti Fatali.

Tina Modotti: Linee telefoniche messicane

IV- Il telefono, quando fu accessibile alle masse, non solo scalzò la Telegrafia, ma, diventato mezzo economico a portata di ogni tasca, ridimensionò pure l’utilità della “Comunicazione Telepatica”.
Jean Cocteau, in un discorso pronunciato a Oxford nel 1946, raccontò che un suo amico parapsicologo andò nelle Antille per documentarsi sul ricorso alla Telepatia, così diffuso da quelle parti. Quando una donna rimasta nei villaggi vuole mettersi in contatto col marito, o col figlio, che se ne sono andati in città, e chiedere loro di portarle qualcosa, si avvicina a un albero, formula la richiesta, e immancabilmente, appena ritornano a casa, marito o figlio le portano quello che ha desiderato. L’amico di Cocteau chiese a una di queste donne: «“Perché vi rivolgete ad un albero?”. Ed ecco la risposta: “Perché sono povera. Se fossi ricca avrei il telefono”». Riferiscono l’aneddoto Pauwels e Bergier, nel Mattino dei Maghi.

copertina di New Detective Magazine

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