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L'Indulto a Belador e la Mitologia della Corrida

Il 19 luglio del 1982, nella Plaza de Toros più famosa e più importante di Madrid, avvenne un fatto inaudito e portentoso.
Il Toro uscì vivo dall’arena.
Non era mai successo (e non successe più, dopo). L’animale in gergo umano si chiamava Belador, un nome ovviamente imposto dall’allevatore. Durante la tauromachia, il comportamento fiero, coraggioso  e indomito della bestia aveva commosso gli spettatori, che sventolarono migliaia di fazzoletti, implorando misericordia. Il matador Oliver Cano gli risparmiò la vita. Belador fu scortato fuori dello stadio, caricato su un camion e costretto a fare, da quel momento in poi, il “riproduttore”.
A Siviglia, un Toro ottenne il cosiddetto “Indulto” per la prima volta nel 2011. Negli anni successivi accadde più volte; segno, secondo i puristi, della disaffezione del pubblico e dello stravolgimento in senso “animalista” della corrida: uno spettacolo il cui scopo non è solo dimostrare la superiorità dell’armamentario umano sulla Potenza delle corna, ma proprio l’umiliazione del toro, e la sua conseguente condanna a morte.

da una copertina di “Time”

L’orribile mitologia della Corrida ha avuto nel secolo ventesimo sostenitori occulti, propalatori e propagandisti anche tra gli intellettuali. Alcuni si fingevano inorriditi solo per descrivere più puntigliosamente le nefandezze dei matadores; i più cinici celebravano nel miscuglio di cavalli sventrati, interiora, cerebri, e rena scura di sangue di toro o di torero, un’arcana metafora della vita.
Dobbiamo ad alcuni di questi vati alcoolici il mito del torero come Eroe.

Francico Goya: Suerte de Varas (1824)

 Come si diventa toreador? Sfidando, narra Blasco Ibanez in Sangue e arena,  allevatori e torelli nei recinti scavalcati di soppiatto. Poi, abituati al “salto di steccato”, si fa il gran salto, quello nell’agone. Ci informa Alberto Savinio: “il caso è frequente di amatori che si buttano spontaneamente nell’arena”.

In Ispagna questo tipo di esaltato viene chiamato per l’appunto “el espontaneo”, e gode di una accondiscendente ammirazione da parte del pubblico, diametralmente opposta al disgusto che provoca nel torero professionista, che si vede privato, di botto, del tributo e dell’attenzione popolari.

La realtà è che la Tauromachia non è uno scontro leale, sportivo, un “duello” tra Uomo e Animale, nel quale sopravvive il più tenace e valoroso. La mimica stilizzata, espressionista, del toreador è nata per confondere. Che ci siano vittime tra questi artisti della mattanza, rivestiti d’oro come parvenu, è orribile, ma è puramente casuale, oltre ad essere un affronto e un cruccio per il resto dell’umanità.

Francisco Goya: La malaugurata morte di Pepe Hillo (Jose Delgado) nell’Arena di Madrid l’11 maggio 1801

Comunque, se per puro caso è il Toro a fare il “matador”, non avrà altre chance. Gliela faranno pagare: verrà “sacrificato” immediatamente. Tradizione vuole che, se ha ucciso il suo persecutore nell’arena, non muoia solo lui, ma venga soppressa anche sua madre, un’innocente mucca dedita al latte e alla figliolanza. Forse qualche etnoantropologo riuscirà a spiegarci le radici profonde, arcaiche, di tanta bassa crudeltà.

La corrida è uno spettacolo il cui primo scopo consiste nel terrorizzare il toro. Le urla degli spalti, i cavalli imbizzarriti che gli corrono accanto, le lance dei picadores, persino l’inconsulta apparizione dell’espontaneo che l’insulta, a cos’altro mirano, se non ad angosciare e a piagare la bestia in modo che si sottometta, dopo un inutile valzer, alla cappa e alla spada del suo assassino?  È uno spettacolo barbarico, un rigurgito sempre attuale della Notte dei Tempi.

Tauromachia: affresco di Cnossos

Se si svolgessero dopo il tramonto, al buio, le Corride direbbero la loro verità tramite un falò. “Ovidio ci informa che in aprile, durante la festa di Cerere, si usava inseguire per il circo volpi col pelo in fiamme”. E in Iran, durante la Festa di Sada (leggiamo ancora ne Il Mulino di Amleto De Santillana e von Dechend) “si dava fuoco ad animali e li si rincorreva per le campagne”.

Si sappia: l’Arena è a forma di recinto, non per favorire la visuale come a Teatro, ma perché il Toro non scappi, e non sfugga così alla vendetta di coloro ai quali non ha fatto niente.

Il manifesto di un meraviglioso cartone di Tex Avery:
Señor Droopy (1949)

[in copertina: Jacob Jordaens, Toro (da: “I segni dello Zodiaco”]

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Adan Zzywwurath (Franco Porcarelli) giornalista, produttore, sceneggiatore di film, documentari e fumetti, ha pubblicato 5 libri.

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