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Truffe (3): Caraboo, la "Principessa" dello Scandalo

Una sera d’aprile del 1817, una giovane avvenente, che indossava abiti esotici, e parlava una lingua sconosciuta, irruppe in un cottage di Almondsbury, nelle vicinanze di Bristol. A gesti, fece intendere che desiderava poter dormire lì, sul pavimento, come se fosse spossata dopo un viaggio estenuante. Nella sua borsa, c’erano solo un pezzo di sapone e qualche spicciolo. Fu ospitata dai proprietari della casa, il magistrato sir Samuel Worrall, e sua moglie.
A loro, il giorno dopo, la ragazza comunicò di chiamarsi “Caraboo”. Ma non riuscì né a indicare l’esatta area geografica da cui proveniva, né a far comprendere l’origine e il senso delle parole che utilizzava. I Worrall furono turbati dalle maniere inusuali e dal contegno altezzoso che esibiva; ma, com’era uso a quei tempi, la inviarono senza altri scrupoli all’Ospizio dei poveri di Bristol, dove finivano tutti i vagabondi della zona.

Thomas Barker of Bath:
Ritratto fantastico della Principessa Caraboo (circa 1817)

La giovane straniera era lì da settimane, in uno stato di totale prostrazione, quando un portoghese di nome Manuel Eynesso manifestò il desiderio di conoscerla. Il loro incontro fece la fortuna di Caraboo. Eynesso dichiarò di parlare fluentemente la stessa sua lingua: un dialetto diffuso “lungo le coste di Sumatra, e altre isole delle Indie Orientali”.  Spiegò che la giovane era stata rapita dal suo paese, che era un’aristocratica, che era stata abbandonata appena approdata in Inghilterra. La moglie di Worrall, commossa dalla storia, la riprese in casa, a Knole Park, dalle parti di Almondsbury.

Da quel momento, la villa del magistrato divenne oggetto d’un pellegrinaggio ininterrotto di curiosi. Col suo gergo “gibberish”, Caraboo fece confidenze a tutti – che risultarono, per la maggior parte, incomprensibili; finché un gentleman, che aveva viaggiato molto nell’estremo Oriente, interrogandola soprattutto a gesti, raccolse una testimonianza più completa.

La ragazza era una Principessa; suo padre – Jessu Mandu – era d’origine cinese, sua madre (una donna uccisa e forse mangiata dai cannibali Boogoos), malese. Lei abitava nell’isola di Javasu, ed era cresciuta nello sfarzo, accudita da una numerosa servitù. I pirati cinesi, attirati dalle sue ricchezze, l’avevano rapita; quindi l’avevano rivenduta a un avventuriero dai tratti moreschi. Un brigantino l’aveva condotta prima a Batavia, poi – traversato il Capo di Buona Speranza –, aveva puntato decisamente sull’Europa. Non si sa come, lei era riuscita a sfuggire ai rapitori.

Caraboo fu prodiga di particolari sulla sua vita, a corte.
Descrisse gli intrattenimenti musicali, la moda d’uomini e donne. Cucì, per sé, un vestito di foggia mai veduta. Non tacque nulla sui costumi di Javasu, neanche su quelli più scabrosi o alieni alla mentalità occidentale – come le danze ignude, o i culti funerari, idolatrici, del luogo. Mantenne, anche nel Gloucestershire, alcune delle sue esotiche abitudini: quella, ad esempio, di ballare su un piede solo, contorcendosi; quella di cacciare con arco e frecce, di duellare – discinta – stringendo contemporaneamente nelle mani daga, e spada, o di arrampicarsi sugli alberi della tenuta dei Worrall. Secondo uno scienziato che la esaminò, non c’era alcun dubbio che fosse d’origine circassa, al massimo tartara. Ciò spiegava perché mai, pur essendo figlia di orientali, la sua pelle fosse chiara e i suoi occhi, d’un taglio comune in Occidente. Questi particolari, e la stravaganza dei suoi racconti, resero la Principessa un idolo locale: i giornali pubblicavano volentieri le corrispondenze con i resoconti delle sue stranezze, e la descrivevano accuratamente – nell’aspetto, nell’abbigliamento.

Alfabeto e calligrafia di Javasu
I “Numeri” a Javasu, secondo la Principessa

Un certo Mr. Neale, un affittacamere di Bristol, leggendo con attenzione questi articoli, vi riconobbe subito il ritratto di una sua antica pensionante, niente affatto orientale. La signora Worrall, avvertita, organizzò un confronto tra i due, e venne fuori la verità.

Caraboo, non era Caraboo. Si chiamava Mary Willcocks, era nata nel Devonshire venticinque anni prima. La madre e il padre – un  ciabattino poverissimo –, l’avevano cresciuta senza una vera educazione, destinandola, giovanissima, a un lavoro da sguattera. Insofferente verso qualsiasi forma di disciplina, Mary aveva lasciato in breve tempo i suoi numerosi padroni, vagabondando un po’ dovunque, e meditando anche il suicidio. Era stata ricoverata a lungo in un ospedale per una malattia cerebrale. S’era travestita persino da uomo, per trovare un lavoro: ma era stata presto congedata, per il suo aspetto strano e maligno. Si era anche sposata, fugacemente, con un avventuriero che conosceva bene le Indie, un certo Baker (nome che sembra inventato), e che presto l’abbandonò. La ragazza non era mai uscita dall’Inghilterra: ma aveva frequentato stranieri, orecchiando le lingue, camaleonticamente assorbendo i tic e le stravaganze dei più esotici. 

Charles Parsons-Knight: Il porto di Bristol

Giunta a Bristol per imbarcarsi per l’America, la servetta Mary Willcocks (ora Baker) era stata respinta sul molo: non aveva abbastanza denari per un viaggio così lungo. Allora, aveva seguito un impulso improvviso. S’era foggiata un turbante col suo foulard, e aveva chiesto alloggio a più di una ricca casa dei paraggi di Almondsbury, esprimendosi a gesti e in una lingua inventata, per l’occasione, di sana pianta.

Dopo la confessione, Mrs. Worrall, la perdonò a fatica, ma le pagò il viaggio per gli Stati Uniti, dove Mary sbarcò il lunario esibendosi a teatro come “Principessa Caraboo”.

Da quale ispirazione aveva tratto il proprio “nome”, questa Donna dello Scandalo? Forse dal tartaro Carabas, o da Carabasar (il caravanserraglio dei nomadi Orientali), ma ancora più probabilmente dal “Marchese di Carabas”, personaggio immaginario del Gatto con gli stivali di Perrault, fiaba alla portata della sua scarsa istruzione.

Certo “Caraboo” non è l’unica simulatrice, nella Storia, che abbia avuto successo architettando ogni giorno un castello di finzioni, una sull’altra, sempre più enormi, sempre più inverosimili. Geniale fu soprattutto la sua riluttanza a parlare la lingua che meglio conosceva, la propria. La giovane non cercò mai (come avrebbe fatto qualsiasi vera straniera, al posto suo) di comunicare con i suoi ospiti, o con i curiosi che la circondavano, in inglese; sembrava non riuscisse a ritenerne neppure un vocabolo. Questo trucco, però le permetteva di ascoltare, facendone tesoro, tutto ciò che liberamente dicevano gli altri, convinti che quella “straniera”, non li comprendesse.
La furbizia di Mary Willcocks, tuttavia, non è sufficiente a spiegare tutta la storia.

Caraboo può essere considerata come l’erede-femmina di George Psalmanaazar: anche la sua impostura è nutrita di esotismo; anche lei afferma di provenire dall’Oriente crudele e misterioso.  Ma, proprio in quanto donna, e in particolare, “donna delle pulizie”, i suoi moventi differiscono, e sembrano affondare in un diverso sostrato mitico. È in Frazer, allora, che si può forse trovare la chiave di lettura di questa vicenda, altrimenti assai banale. « Tra i Galla  –  scrive l’etnologo  –, quando una donna si è stancata di dover tenere la casa, comincia a parlare in un modo stravagante. È questo un segno della discesa dello spirito santo, detto Callo, sopra di essa. Immediatamente suo marito le si prostra davanti e l’adora: essa cessa di portare l’umile titolo di moglie e viene chiamata “Signore”; non deve attendere più ai lavori domestici e la sua volontà è legge divina ».

misterioso monumento funebre di Caraboo, visibile a Bristol

Anche quella di Caraboo è una storia in cui una donna comune, costretta a fare umili lavori di casa, abbandona il “servizio”, trova un successo inatteso e quasi raggiunge il suo inconfessabile obbiettivo: essere adorata, e dettar legge, come nel suo paese immaginario. Come tra i Galla, non meno esotici dei suoi pretesi conterranei. Che tutto ciò sia dovuto a una “discesa dello Spirito Santo” nell’interiorità dell’Impostore, è l’altro aspetto fondamentale, per far luce sulla messinscena della sguattera divenuta Principessa. Il presentimento d’essere in missione per il Cielo, o per il Mito, coglie immancabilmente chi simula – soprattutto quando questi giunge al bivio di un non più differibile, e radicale, mutamento di vita e di costumi. Allora l’anima di chi truffa cede, ineluttabile, al richiamo dell’Invasamento. Ossia: la Perdita di Identità. Solo così – con una Metamorfosi – troverà la forza sovrumana di proseguire nella Finzione.

[dalla voce: “Verità & Menzogna” della Fantaenciclopedia]

[in copertina: La Principessina Caraboo di Javasu, di Edward Bird]

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