Racconta George Thomson ne I primi filosofi:
«Un allievo di Pavlov condusse questo esperimento. Venne applicata al dito di un bambino una corrente elettrica: il bambino contraeva il dito. Il procedimento venne ripetuto più volte; dopo un certo periodo di tempo si cominciò a suonare una campana prima che venisse applicata la corrente e dopo che ciò fu ripetuto più volte il bambino contraeva il dito al suono della campana; successivamente l’esperimentatore si limitava a pronunciare la parola “campana”, anziché suonarla, e il bambino contraeva il dito istantaneamente al suono della parola. Poi lo sperimentatore invece di pronunciare la parola la mostrava scritta su un foglietto e alla vista di essa il bambino contraeva il dito. Infine il soggetto fu indotto a contrarre il dito al mero pensiero di una campana».
Supponiamo che Dio, nella sua infinita misericordia, abbia accolto quel bimbo in Paradiso, per porlo accanto all’Archetipo della campana. Aggiungo: e che vi abbia poi sistemato dentro l’esperimentatore e, consegnato al fanciullo un martello, gli abbia detto: “batti pure quanto ti aggrada, a Me non dà fastidio”.

Perché il test dello zelante pavloviano ha in sé qualcosa di mostruosamente “punitivo”: e perciò è sbagliato.
Succede spesso così, quando un allievo cerca di superare il maestro e perde ogni scrupolo.
Io suggerisco un esperimento più semplice, ma scientificamente ineccepibile, basato sulla mia esperienza personale.
Sappiamo tutti quanto sia contagioso lo sbadiglio. Ne vedo fare uno, e lo ripeto. Se qualcuno me ne parla, e mi invita a fare uno sbadiglio, lo faccio senza difficoltà. Se trovo scritta la parola: sbadiglio, sbadiglio. Se, anche solamente, ci penso: idem.
Mentre ne scrivo adesso, sto sbadigliando: Pensiero Attivo. La prova della “Concretezza delle Idee”.

[in copertina: A Reclined Figure, di Edward Burne-Jones]










