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Giugno 18: giornata mondiale dell'Orgoglio Autistico

I “Geni Autistici” e il mistero dei Numeri Primi

In ricordo di Oliver Sacks (9 luglio 1933- 30 agosto 2015). Questa foto lo ritrae nel 1961

Sotto molti aspetti (quasi sempre pratici), l’opinione pubblica spesso scambia i Geni per “idioti”; ma in qualche caso – sia detto con tutte le cautele “scientifiche” del termine e nel rispetto di chi sopporta questi mali psichici – la confusione sembra avere un fondamento.
Uno dei casi più luminosi di “sapiente idiozia” (o Sindrome Savant) è quello dei due gemelli americani “dataiòli”, George e Charles Finn, che furono studiati per qualche tempo da Oliver Sacks. Il grande neurologo parla di loro, chiamandoli “John e Michael”, ne L’Uomo che scambiò sua moglie per un cappello – un libro che non finirò mai di raccomandare a tutti i cultori del Fantastico.

Ci sono, è noto, dei soggetti di “differenti” capacità intellettuali, e in apparenza debilitati, che hanno un rapporto strepitoso con i numeri: per esempio, gli Autistici. “John e Michael” erano effettivamente Autistici: però in campo “numerico” non temevano nessuna concorrenza. Le loro straordinarie doti contabili vennero celebrate da numerosi shows televisivi, ai quali i gemelli erano continuamente invitati, nonostante la scarsa e inquietante telegenia.

“Dateci una data, una qualunque degli ultimi o dei prossimi quarantamila anni”, chiedono al pubblico “John e Michael”. “Gli viene proposta una data e un attimo dopo loro dicono a quale giorno della settimana corrisponde. […] Sanno anche dire la data di qualsiasi Pasqua entro lo stesso periodo di ottantamila anni”. Pare escluso che i gemelli si servano di un algoritmo pasquale; nessuno, avverte Sacks, è mai riuscito a elaborarlo.

Ian Stewart provò a spiegare la loro abilità in questo modo: secondo lui i gemelli applicavano un “algoritmo abbastanza semplice”. Basta dividere «per sette il numero totale di giorni tra “oggi” e “allora”. Se non vi è resto, la data cade nello stesso giorno di “oggi”; se il resto è uno la data cade un giorno dopo, e così via». In effetti, detto così sembra semplice. Ma provate a farlo su un ventaglio di 80 mila anni, compresi tra prima e dopo Cristo. Cioè a tenere a mente – i gemelli non computavano su quaderni o lavagne – una contabilità che consideri tutti i bisestili, e anche i dieci giorni che, con la riforma del calendario giuliano operata da Gregorio XIII, furono aboliti nel 1582. Inoltre: “John e Michael” erano evidentemente in possesso d’un criterio intuitivo di divisibilità per sette, più congruo e infallibile sui grandi numeri di quello scoperto nel 2019 da Chika Ofili, uno scolaro nigeriano che all’epoca aveva appena dodici anni.

Forse, i due fratelli hanno messo a punto una forma di memoria prodigiosa, associandola a un “colpo d’occhio” aritmetico, senza uguali. Non per niente essi rammentano in maniera dettagliata e perfetta “che tempo faceva e che cosa era successo in un giorno qualunque della loro vita a partire dal loro quarto anno d’età”.
Credo che, anche per questo tipo di ricordi, a loro fosse indispensabile l’associazione a una data, cioè a un numero, perché qualsiasi data può essere espressa anche in numeri.

I gemelli erano a loro modo felici. Vivevano in una sintonia totale, metafisica. Conversavano tra loro scambiandosi “numeri” invece che parole. Realizzavano il sogno di una lingua perfetta, filosofica. Oggetto dei loro discorsi “perfetti” era la “perfezione”.

Esercizio di Yoga di un “Rishi”

Sacks li sorprese durante uno dei loro mirabolanti “dialoghi”: “John diceva un numero, un numero di sei cifre. Michael afferrava il numero, annuiva, sorrideva e pareva assaporarlo. Poi diceva a sua volta un numero di sei cifre offrendolo a John, che a sua volta lo gustava con soddisfazione. […] Non ci capivo nulla. Forse era un gioco […]. Mi accontentai di prendere nota dei numeri che dicevano […]. A casa tirai subito fuori i libri delle potenze, dei fattori primi, dei logaritmi e dei numeri primi […]. Il mio sospetto fu confermato.
Tutti i numeri che i gemelli si erano scambiati, numeri di sei cifre, erano primi, cioè divisibili solo per se stessi e per l’unità”. Sacks si appuntò una serie di numeri primi di otto e dieci cifre e volle partecipare a una delle conversazioni dei gemelli. Dopo un’ora, “John e Michael” surclassando la sapienza imparaticcia del dottore, si scambiavano, sorridendo, numeri primi di venti cifre. Sacks fu escluso dal dialogo: nessun libro arriva o è mai arrivato a tanto. L’impressione di un colloquio mistico, o magico, tra i due, aumenta se si tiene conto che i gemelli non furono mai visti calcolare e, a detta di tutti, erano incapaci di sommare, moltiplicare, estrarre radici quadre, ecc.

Come altri autistici fenomenali, i gemelli sono capaci di dire il numero di fiammiferi che si rovesciano a terra da una scatola, e aggiungere se è primo, o se è multiplo di primi di una certa grandezza. Quando i fiammiferi cadono, supponiamo, i gemelli dicono all’unisono: 111. Come se 111 equivalesse a “bianchi, con la capocchia rossa”. E aggiungono: 3 x 37. Il numero 111 li ha attirati. Sanno che un numero, le cui cifre sommate  diano un multiplo di 3, non può essere primo. Li attirava ugualmente un mistero, il fascino di quel numero. 3 volte la cifra 1, nascondeva il vero numero primo, 37.

Rain Man (1988), con Dustin Hoffman e Ton Cruise, ispirato al caso vero di Kim Peek,
il genio autistico che conosceva a memoria il contenuto di 12mila libri

I Numeri Primi sono stati giudicati dai neurologi: “finestre che si aprono su un altro mondo”. Per questo attraggono in modo straordinario gli autistici, soprattutto i bambini.
Li attira forse la loro invisibile perfezione, o l’intuizione che non essendo “generati” da altri numeri, siano puri e immuni dalla concatenazione sessuale?

Considerato dal punto di vista estetico, come elemento brado di un’armonia superiore, ogni numero è un miracolo autonomo. Per questo credo che i gemelli “John e Michael” comprendessero immediatamente, per una sorta di giudizio istantaneo, se un numero era “primo”, cioè perfetto, o no. Poi elaboravano, ruminavano questa prima impressione, la sottoponevano a piccole prove mentali, comparative, a posteriori. Per loro era facile: semplice come, per i cultori dell’enigmistica, capire se una parola è l’anagramma di un’altra. O per il ‘patafisico capire se una frase cela un Lipogramma. Lo si fa di getto, senza pensarci sopra. Il solutore di problemi di scacchi, o lo scacchista che gareggia simultaneamente con dieci avversari, non hanno bisogno di ricorrere all’anamnesi di tutto quello che è successo in precedenza sopra le scacchiere. A loro basta un colpo d’occhio per “sapere” se vinceranno, perderanno o saranno costretti alla “patta”. Così deve essere anche per i numeri primi: non ci si arriva, calcolando, con un algoritmo, ma con una visione d’insieme dominante, dall’alto. I numeri primi sembrano a questo sguardo “idiota”, ma geniale, l’anagramma di un unico numero, celato in essi come una sciarada – o in tutto simile a una “cifra nel tappeto”: per cui basta tirare il filo giusto per sciogliere l’enigma di cui sono intessuti.

Arthur Rackham: illustrazione per The Night Before Christmas, di Clement Clarke Moore (1931)

Sacks, che li ha avvicinati e studiati, parla, nel caso dei gemelli,  di “una cognizione diretta, come per gli Angeli”.
Fatto sta che questi ragazzi-prodigio sono giunti a trovare un criterio sicuro per riconoscere i numeri primi, mentre ancora oggi i matematici, per farlo, o per “produrli”, si affidano a calcolatori sempre più potenti. Il loro enigma per la Scienza è ancora intatto. Suggerisco dunque ai matematici – da profano, da lettore e da ammiratore di Oliver Sacks – di scandagliare quel mistero con lo sguardo angelico degli “Idiots Savants” e la mente “pura” dei Geni Autistici, come “John e Michael”, per i quali il numero Sette aveva connotati “sacri” e iniziatici, da clavis universalis.

Ci sono donne, uomini, e bambini, che, dove noi vediamo all’opera infinite e complicate qualità, colori, giudizi di valore, suoni, ecc. vedono solo numeri. Zacharias Dase (1824-1861), “il mago dei numeri”, era in grado di “contare” esattamente, in un istante, i piselli che, a fiotti, uscendo da una scatola, andavano a formare un mucchio. Egli «ne “vedeva” il numero in un lampo, come un insieme». Anche Dase “era singolarmente privo di conoscenze matematiche”, come i gemelli dataiòli.

Da dove nasce un dono come questo? è veramente un dono, tanto grande, che per riequilibrarlo lo si paga con la rinuncia alla “normalità” mentale?

Tutti questi idiots savants sembrano sostituire al calcolo un “giudizio estetico”. Non sono gli antesignani dell’era digitale, che sostituirà, alla fine del secolo ventesimo, il mondo “atomico” con il “mondo numerico”. I numeri per  loro non sono numeri. Non hanno un uso pratico, ma non sono neppure astrazioni. Certo non servono a contabilizzare.

anfora attica: Achille e Aiace giocano a dadi

Martin Heidegger ha sostenuto che l’antico greco, posto di fronte a tre mele rosse, immediatamente comprendeva che l’esser tre di una cosa non è il suo numero, ma una sua qualità, come l’essere rossa. L’ “esser  tre”  delle mele non era frutto di un conteggio. Apparteneva alla loro essenza, alla loro specificità. Con lo stesso colpo d’occhio, il greco vedeva tre qualità delle mele, non due: cioè l’essere  rosse, l’avere una certa dimensione, e l’essere tre. Tre – il numero tre – apparteneva alle mele come il colore e il volume.
Gli antichi Elleni, erano allora e perciò stesso, idiots savants? È questo il destino  – l’Idiozia – di uomini e donne quando si avvicinano così da presso all’Essere delle Cose?

[in copertina: Ho visto la figura del 5 in oro, di Charles Demuth (1928)]

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