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"Roma, non fa' la stupida stasera": Alberto Sordi incontra Francis Ford Coppola (Napa Valley, 1997)

Ho avuto l’onore, e la fortuna, di frequentare Alberto Sordi.  È accaduto negli ultimi anni della sua vita, quando il lungo tempo trascorso dai suoi esordi non era riuscito a scalfire nessuna delle sue doti: era un Maestro di recitazione e insieme uno straordinario “Comico naturale”. Appena compariva, scatenava, in tutti, un uragano di risate.  Possedeva questo dono, al di là, al di fuori dello schermo. Non perché fosse “simpatico”, o accattivante: non lo era affatto. Sordi era, in un certo senso, “cattivo”. Come sono e sono stati i veri cittadini romani, anche quelli di buon cuore, che giudicano tutto e tutti dall’alto di una storia grandiosa, ma anche dal basso di una storia di rovine.
Conosceva pregi e difetti di ogni essere umano, in modo penetrante, e gli bastava un attimo, uno sguardo, per capire che tipo eri, e quali fossero le tue debolezze, da irridere e parodiare. E allora entrava in azione con il suo sorriso, le sue battute e la sua immensa classe.

Alberto Sordi (Roma, 15 giugno 1920 – Roma, 24 febbraio 2003)

Poteva parlare per ore raccontando episodi della sua vita, calcando mostruosamente sui propri difetti fino a attribuirsi nefandezze e vigliaccherie. Amava gli scherzi, ma non, credo, la goliardia: una volta, era all’inaugurazione di non so quale impianto e senza farsi vedere, profittando della calca spinse alle spalle l’onorevole Fanfani che perse il controllo di forbici e nastro. I Film-Luce e la Settimana Incom furono costretti a tagliare la scena.
“Albertone” odiava l’ufficialità, l’ipocrisia, la retorica, la “medio-crità”. Reagiva, è vero, con una certa grevità talvolta. Ma soprattutto o quasi esclusivamente sullo schermo. E sempre con la consapevolezza di rappresentare un “tipo umano” che esisteva in carne, ossa, ubbie e fantasie e che lui conosceva come nessun altro, anche quando diventava una maschera, una “macchietta”. Lui, questo individuo mitico e mitizzato, lo chiamava l’Italiano.
Più di una volta, dopo aver ascoltato i suoi meravigliosi aneddoti, tutti da sganasciarsi, e irripetibili da nessun altro che non fosse lui, ho cercato di dirgli: “Maestro, accendiamo una telecamera, e lei parli a ruota libera, anche per giorni, per settimane. Non è giusto perdere tanto divertimento: vogliamo sapere di più della sua vita e solo lei può raccontarla”.
Lui non voleva, obiettava: quello che conta, diceva, è quello che ho fatto nei miei film: lì c’è la mia autobiografia. Teneva moltissimo al suo progetto televisivo “Storia di un Italiano”, un Fenotipo che aveva esplorato sullo schermo in tutte le sue sfaccettature, dal principio del Novecento, fino alle soglie del Duemila. Di questo “kolossal comico”  aveva già montato, e messo in onda, due parti; mancava la terza, quella della sua anzianità e vecchiaia; andava continuamente in moviola per perfezionarla e completarla, ma non ce l’ha fatta, a terminarla.  

Ma forse il vero motivo per il quale si è sempre rifiutato sempre di raccontare la propria “storia” davanti a una telecamera è un altro: Sordi, in modo istintivo, si riteneva “immortale”, e per questo non sentiva alcuna urgenza di lasciare ai posteri (che obbrobriava)  nessun ricordo troppo personale e nessun “testamento”. Non voleva “chiudere le pratiche”, non c’era motivo.
E in un certo senso era vero: Alberto Sordi è immortale, e non solo perché ha incarnato un tipo umano che sentiamo profondamente nostro e affine e che dubitiamo tramonterà mai, anche se passeranno secoli.
Perciò, e mi dispiace contraddire Nanni Moretti: è molto, molto probabile, che Alberto Sordi, noi, non ce lo meritiamo.

Alla fine del 1997, Alberto Sordi, complice l’allora direttore artistico Renzo Arbore, divenne “testimonial” del Progetto-Cinema di Rai International, un canale diretto, all’epoca, da Roberto Morrione. Sordi viaggiò fino a Los Angeles e San Francisco, dove venivano proiettate le “personali” dei suoi film, e dove tenne lezioni agli studenti dei corsi di cinematografia. I sindaci gli recapitarono le “chiavi” delle due città.
Andò anche a Napa Valley, per incontrare Francis Ford Coppola, visitando la sua villa e i suoi vigneti. L’accompagnava anche Nicoletta Leggeri, che era stata il suo braccio destro ai tempi di “Storia di un Italiano”, e che per l’occasione realizzò un documentario, “UozzAmerica!”, che ho prodotto e che nessuno, in Italia, ha mai visto. Ne presento, qui, un breve estratto (e mi scuso per la scarsa qualità della mia copia):

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Adan Zzywwurath (Franco Porcarelli) giornalista, produttore, sceneggiatore di film, documentari e fumetti, ha pubblicato 5 libri.

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