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Carmelo Bene: il “Lorenzaccio” “tolto di scena” e ritrovato

Dopo Pinocchio, dopo don Giovanni, dopo Amleto e la ridda degli eroi scespiriani, Carmelo Bene è stato anche, in un momento cruciale, di svolta, del suo lavoro teorico sulla “Scena”, Lorenzaccio.
Lorenzaccio “affonda” in De Musset, ma non si può definire certo una “rilettura”. Non è come in Pinocchio, un’operazione di “collage” sul testo integro, Non è, come per Amleto, come per don Giovanni, la riscoperta dei personaggi attraverso pagine “marginali” come quelle di Laforgue o Barbey D’Aurevilly. Lorenzaccio è un personaggio “storico”, realmente vissuto: e questo muta ogni prospettiva.
Amleto, Pinocchio, don Giovanni, sono Nomi: certo nomi che contrassegnano “inesistenze”, ma, comunque, Nomi. Lorenzaccio è per Carmelo Bene un Aggettivo.

Lorenzaccio è soprattutto un Gesto, indica la qualità di quel gesto. “Lorenzaccio è quel gesto che nel suo compiersi si disapprova” – scrive Carmelo Bene.
Il gesto Lorenzaccio, eponimo, è innanzitutto quello di chi crede di agire nella Storia, ma è condannato a non lasciare segno sull’esistente. Lorenzaccio è il gesto obbligato di chi si sa condannato all’inesistenza. Eppure questo Lorenzo “sembra” agire: uccide, esaltato dalla lettura di Plutarco, l’ultimo dei Medici regnanti, il bastardo Alessandro, signore della città, nero, nella vita, come nero sarà poi sulla Scena.
Il tiranno è ucciso ma Lorenzaccio non diventerà mai il suo Bruto, il suo Cassio. Anzi, gli storici, come i contemporanei, lo considereranno soprattutto un pazzo (come Pazzi furono quelli che maldestramente attentarono alla vita di Lorenzo il Magnifico). Un pervertito, dunque, o, al massimo, un antesignano dell’ottocentesco “delitto gratuito”. Ed è proprio nell’800, che De Musset, riscopre questo personaggio per lo più dimenticato. Quando però De Musset prova a rendere, in scrittura scenica, la strana avventura di questo folle, ne esce fuori un testo “irrappresentabile”, non-teatralizzabile, eccessivo, strabordante: e inevitabilmente attirerà, per queste qualità, solo i “mostri sacri” del Teatro. Sarah Bernhard, su tutti, si approprierà del personaggio, infilandosi nei panni maschili del protagonista. Incontenibile superomismo rappresentato da una femmina. Panni ambigui, però, erano anche quelli del Lorenzaccio originale, che amava proprio indossare abiti femminili: vezzo che certo ha nuociuto alla sua fama d’eroe. Non si danno eroi “travestiti”. È pur vero che il primo Bruto (prototipo d’Amleto) si “travestì” da pazzo, per liberare Roma dai Tarquini; ma Lorenzaccio, dice la storiografia, era pazzo davvero, non fingeva.

Lorenzaccio, di sicuro, voleva entrare col suo gesto nella Storia. Carmelo Bene, dunque, nel modo più conseguente, pone la Storia al centro del suo Lorenzaccio.
La Storia però, ha perso, anche grazie al gesto Lorenzaccio, ogni connotato di grandezza. Va piuttosto considerata come “conseguenza involontaria di atti ignari”.
La Storia (come Pensiero e come Azione) è davvero messa “sulla”, ancora più che “in” scena. Più precisamente, la vediamo agire nel boccascena. È un personaggio come gli altri, interpretato da un attore, Mauro Contini. Contini, sia detto per inciso, non fa normalmente l’attore: ha collaborato per decenni con Carmelo Bene, ha montato tutto il suo cinema.
Ora, Contini, cioè, la Storia, occupa solo il proscenio, appena un bordo dell’orizzonte degli eventi, mentre tutta l’azione principale sembra svolgersi ai piani superiori. Tuttavia, è lui che agisce da vero protagonista. Si fa notare più di ogni altro, è infaticabile, inarrestabile. Soprattutto: fa rumori, emette anche rutti sonori. È questo, per Carmelo Bene, il compito tipico della Storia: sonorizzare l’inesistente. Anche quando è intrisa di morti, di sangue sparso, di tregende, la Storia fa la “Rumorista”.

Subito sopra, sul secondo gradone della scena, risvegliato da una di queste corregge della Storia, compare Lorenzo de’ Medici, il “Lorenzaccio” della/nella Storia.
È come un sonnambulo, che si trastulla con qualche frase mozza di Plutarco. Egli vuole agire, fare, in una parola, essere, esistere: si sente “evocato” dagli avvenimenti, chiamato al Grande Gesto. Eppure, e lo vedremo bene nella reiterazione scenica, ogni gesto – piccolo o grande che sia – gli sarà precluso. Ogni sua azione risulterà priva di conseguenze. Ogni suo gesto è innocuo e fuori “sincrono”. Romperà piatti, ma: noi non sentiremo alcun rumore. La Storia, spavaldamente, farà il rumore che manca – ma solo nel momento che vorrà Lei. È una scena, questa, che innesca un duetto d’impareggiabile virtuosismo, tra Bene e Mauro Contini.

Ritratto di Alessandro de’ Medici

Al terzo piano, c’è Alessandro, la vittima designata. Il nero tiranno si balocca dentro una cornice: la Storia si appresta a farlo diventare il “quadro” che è sempre stato. Questo sarà il lascito della sua intera esistenza: un ritratto – quello, davvero esistente, del Bronzino (tela, credo, perduta, ma che tutti conoscono attraverso una copia).
I tre livelli non interagiscono. Lorenzaccio sarà talmente fuori-sincrono col suo ruolo “storico”, che non riuscirà mai a attentare alla vita di Alessandro – al punto che, una volta deciso ad ammazzarlo, dovrà riconoscere che è già morto, per suo conto. Prima e dopo, mai “durante”, è la nostra vita, considerata dal punto di vista della Storia.

Non c’è coerenza tra movente, azione, e fatto che ne scaturisce. L’atto finale non può essere attribuito, come paternità, a chi l’ha causato. Agire vuol dire smarrirsi, abbandonare i propri intenti al nulla. Lorenzaccio scopre, assassinando Alessandro, che “non è possibile assassinare un bel niente”, e che non è possibile entrare nella Storia, né per la via maestra, né per una scorciatoia secondaria. “La Storia, se esiste, non mi riguarda”: è frase epigrafica di De Musset. Io, comunque, nella Storia non ci sono. La storia “nomina” – Lorenzo de’ medici, invece, si trova lì, nei suoi paraggi, come un aggettivo, tra tanti incomprensibili ma potenti, sanguinari, sostantivi. Carmelo Bene non ci invita a diffidare del Presente, ci insegna che proprio non ci siamo nel Presente.

Lorenzaccio andò in scena – o per meglio dire, utilizzando la terminologia di Bene, fu “tolto di scena” – per la prima volta nel 1986, a Firenze. Carmelo Bene era allora un “genio compreso” – la peggior jattura che possa capitare a un genio. Infatti nessuno comprese l’importanza, anche filosofica, di questo testo-chiave. Era “un capolavoro del tutto fuor di scena” e quindi “fuor-di-Luogo”. E come tale scomparve, al punto che pochi, anche tra gli ammiratori di Bene, si resero conto della sua importanza capitale.
Si può comprendere allora l’emozione, la sorpresa, che accompagnarono la “riscoperta” d’una registrazione televisiva del Lorenzaccio, mai vista da nessuno, negli archivi della Fondazione L’Immemoriale, alla quale l’artista ha lasciato la sua eredità.

Si trattava di una serie di riprese fatte dallo stesso Mauro Contini (l’attore che impersonava la Storia) durante quattro giorni di prove. La registrazione purtroppo risentiva di alcuni difetti. I nastri su cui era impressa appartenevano alla generazione U-Matic, fuori di commercio da decenni. Anche le telecamere utilizzate erano poco sensibili, dovevano operare in condizioni precarie di luminosità. Nonostante questo, Contini è riuscito a rimontare i materiali in modo più che decoroso.

Ne ha tratto un’opera che non va considerata come un prodotto “televisivo”, ma la migliore restituzione possibile d’una creazione teatrale, in presa diretta, diretta da Carmelo Bene. Non paragoniamo questo Lorenzaccio all’Amleto, al Macbeth o al Riccardo III che si trovano nelle teche della Rai: furono tutti testi ripensati dall’artista in funzione del mezzo televisivo, capolavori della televisione, non della Scena. La “povertà” di invenzioni riscontrabile, dal punto di vista del linguaggio televisivo, è nel caso del nostro Lorenzaccio più che evidente, e non va fraintesa. Piuttosto valutiamo nel modo più favorevole il rigore delle scelte operate da Contini, la resa “classica” dell’impostazione delle immagini. Sono prove di scena rimodellate come un racconto unitario, che rende possibile apprezzare anche particolari che normalmente sfuggono allo spettatore teatrale. Nulla di più. Direi che è già molto. Gli archivi ci avevano conservato finora, il cinema, e la televisione di Carmelo Bene. Ora abbiamo anche un’idea precisa del suo Teatro. Ai tempi di Rai International, grazie a Contini (e a Marianna Ventre, amica, assistente e anche compagna di Carmelo) ho potuto, come produttore, far ricostruire, almeno in parte, questo “gioiello” delle nostre Scene. Bene, probabilmente, l’avrebbe rimontato in tutt’altro modo, ma non lasciò mai disposizioni in questo senso, che io sappia. Quindi, nonostante qualche legittimo dubbio, apprezziamo questo Lorenzaccio, come una testimonianza “diretta”, del suo Teatro: perché è in qualche modo l’anello mancante, non solo nell’evoluzione teorica, filosofica, artistica, di Carmelo Bene, ma anche della sua eredità di Genio.

[Il Lorenzaccio di Carmelo Bene è visibile, intero, su Youtube, per esempio : https://www.youtube.com/watch?v=j7J5Jz3sfmo]

qui propongo solo il finale (a cura di Pierrot Le Fou)

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Adan Zzywwurath (Franco Porcarelli) giornalista, produttore, sceneggiatore di film, documentari e fumetti, ha pubblicato 5 libri.

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