Frequento da qualche tempo, con grande piacere e soddisfazione, i seminari del CCCC (Cybernetics, Catastrophe, Complexity, Chaos) animati da Brunella Antomarini, che insegna estetica e filosofia contemporanea alla John Cabot University di Roma. Brunella padroneggia “Conoscenze che si intrecciano”, anche in Altre Dimensioni dalle usuali. Con Kicca d’Ercole, cofondatrice del CCCC e creatrice del compianto “Algoide”, e l’amico studioso, e reichiano, Marko Ceranic, qualche volta seguo questi riunioni di persona, altre mi collego in videoconferenza.
L’ultimo degli incontri ai quali ho partecipato era dedicato all’ “Effetto Riccioli d’Oro”, sapientemente illustrato dal professor Alessandro Pluchino dell’Università “Ettore Majorana” di Catania – un fisico che riesce a divulgare le teorie più ostiche in modo semplice, piano e comprensibile, come si può constatare dai suoi video su YouTube (e a questi rimando).
I- Si chiedeva, con Paul Davies, il prof. Pluchino, all’inizio del suo seminario: «”L’origine della vita è stato un incredibile colpo di fortuna chimico che può essere capitato una sola volta nell’Universo osservabile oppure è stato l’esito prevedibile di leggi e parametri intrinsecamente favorevoli alla vita che ne facilitano la comparsa quando prevalgano condizioni di tipo terrestre?”. Le più recenti scoperte scientifiche, diceva, mettono in luce un fatto che lascia alquanto sconcertati: molte caratteristiche fondamentali del nostro universo sembrano calibrate in modo apparentemente “miracoloso” per permettere l’emergere della complessità e l’esistenza della Vita. Ad esempio, spostamenti anche minimi dei valori delle costanti fondamentali potrebbero dare luogo a universi altrettanto fisicamente sensati del nostro, ma senza alcuna speranza di ospitare un qualunque tipo di struttura organizzata e complessa», e quindi di “Vita” come noi la intendiamo. «Queste enigmatiche circostanze sono note tra i Fisici come “Effetto Riccioli d’Oro”».
I cosmologi fanno appello per questa suggestione alla Favola “Goldilocks and the Three Bears”, molto nota soprattutto tra i bambini anglofoni, e che credo debba il suo successo al fatto che chi la racconta è obbligato a imitare le voci dei tre orsi, con tre intonazioni diverse, dovute a sesso e età dei protagonisti: mamma, papà e baby orso.
La storia è estremamente semplice: una bambina sperduta nel bosco, Riccioli d’Oro, si infila nella casa deserta dei tre orsi, e assaggiando le loro zuppe, sedendo sulle loro sedie e dormendo nei loro letti, si rende sempre conto che per lei c’è un solo cibo e un solo posto “giusto” e adeguato ai suoi bisogni.
Nel suo seminario Alessandro Pluchino ha esposto in modo esauriente e molto convincente gli argomenti che sembrano confermare l’esistenza di un cosmico Effetto Riccioli d’Oro e ha proposto una serie di spiegazioni plausibili a questo enigma. Le sue conclusioni credo possano essere riassunte così: l’intero Universo con le sue leggi è calibrato fin dai primordi per consentire l’emergere della Vita sulla Terra. E con lo sviluppo di questa comparirà l’Uomo, un Osservatore intelligente in grado a sua volta di apprezzare e comprendere l’Universo: perché è nel posto “giusto” per farlo.
È strano però che gli scienziati abbiano scelto proprio “Riccioli d’Oro” per alludere alla “miracolosa” armonia e adeguatezza organica del genere umano e della Terra con le dinamiche del Cosmo. Perché la protagonista della fiaba è una bambina viziata e molto ma molto maleducata, che sfascia la sedia “giusta” su cui siede, quella di Baby, e che deve scappare a gambe levate dalla casa “giusta” che ha invaso, altrimenti gli Orsi, di lei, faranno scempio. C’erano favole migliori, per corroborare quell’assunto? Penso di sì: per esempio si poteva scegliere al suo posto la storia, ben nota a tutti, del nostro Progenitore Adamo, che nell’Eden trovò il “posto giusto”, quando cominciò a sperimentare con Eva le delizie del paradiso terrestre. Certo molto presto le cose per i nostri Capostipiti andarono male, ma quello fu un acclarato “colpo di Sfortuna”.
D’altronde, come insegna il Superenalotto, ogni “colpo di Fortuna”, premia uno solo, e si rivela un disastro, una sciagura e una jattura per tutti gli altri, anche se fossero milioni.
Già, ma nel nostro caso, se l’Effetto “Riccioli d’Oro” esistesse davvero, chi sono gli Altri?
II- Cara Brunella, cara Kicca,
vi sottopongo adesso uno strano testo che mi é giunto tempo fa per “posta elettronica” da un mittente “unknown”, come si é premunito di avvertirmi il mio pc. Ho assoluto bisogno del vostro parere, se quello che trovo scritto abbia un senso o no, perché io non mi ci raccapezzo:
«Il mondo delle particelle, il mondo subatomico, nell’anno in esame [il 2000] non era ancora stato del tutto decifrato, e permaneva in un alone di mistero. Non erano stati fatti molti passi avanti da quando Walter Heltrer aveva scritto: “la Realtà nella sua pienezza contiene elementi che sfuggono ai nostri sensi (o agli strumenti che li aiutano) e che possono essere afferrati solo dal nostro pensiero”.
Tuttavia, fino allora il pensiero non aveva afferrato il Tutto, salvo proporre alcune ipotesi affascinanti.
La prospettiva giusta fu intuita e perseguita con rigore solo più tardi.
Quel mondo non era fatto per i nostri sensi, esattamente come certi filosofi avevano asserito. Bisognava quindi dividere il dilemma nei due corni, dei quali solo il primo può essere riassunto nella domanda: “perché non riusciamo a penetrare completamente le leggi dell’Universo?”. Quando affrontarono l’altro versante della questione, quello dei nostri “Sensi”, i giovani scienziati compresero d’incanto che fino allora avevano indirizzato malamente i loro sforzi.
Essi non dovevano progettare i loro computer come fossero un estenuante, mostruoso prolungamento e potenziamento dei Sensi, degli arti, della memoria, della Ragione stessa degli Uomini.
Bisognava invece proprio progettare una mente artificiale che avesse nuovi “Sensi”, che fosse dotata di quei “Sensi” che mancano all’uomo. Si cercavano e si studiavano “tracciati” e mappe dell’Universo “visibile”, quando invece il concetto stesso di “traccia”, d’orma e d’impronta, doveva essere stravolto. Per la prima volta, dai tempi di Gilgamesh a quelli di Einstein, l’Uomo si liberò definitivamente dall’illusione che l’Universo fosse fatto – o creato, che é lo stesso – per Lui.
Questo percorso si rivelò determinante. Anche per i suoi inattesi risvolti estetici e teologici, sui quali ci soffermeremo meglio in altri capitoli.
Qui vorremmo solo richiamare alla memoria di tutti che un argomento decisivo, all’epoca della “Rivoluzione Artificiale”, fu la “Parabola del Cane”, il cui testo, e il cui autore, sono fin troppo noti perché qui li si citi integralmente.
Riassumo: uno scienziato ha perduto il suo cane, che amava immensamente, l’unico vero compagno della sua vita. Prima lo clona; ma é insoddisfatto del risultato: il cane somiglia solo al suo “datore di DNA”, gli mancano però troppe sfumature, persino quei vezzi che il padrone un tempo mal tollerava, e che ora, invece, nel ricordo lo commuovono. Allora ricostruisce il suo amico animale in laboratorio, con l’ausilio di un potentissimo computer. Ne fa un capolavoro, una copia perfetta e “fedele” nel senso più compiuto della parola.
Il nuovo cane mangia, dorme, vive col padrone come il precedente; aggrotta le sopracciglia come quello, ha persino le sue cicatrici, un dente più giallo e spezzato come l’altro; nessuno noterebbe la differenza.
Un giorno, scorrendo distrattamente le meccaniche e le equazioni con cui ha riprogettato e duplicato il suo compagno, lo scienziato si accorge che ha dimenticato di innestare nel cane il “percettore di ultrasuoni”, uno stupidissimo congegno che avrebbe equiparato l’udito della sua creatura a quello di ogni altro cane.
“Ne fu colpito enormemente. Si chiese: perché non l’ho fatto? Si rispose: perché a me non serviva. Aggiunse: e neanche a lui serve, finché vive con me.
In quel momento si rese conto, per la prima volta, “che non era solo nell’universo“. E guardò il suo cane, “come se fosse la prima volta”.
Questa Parabola, che fu quasi ignorata dai letterati, e da qualcuno giudicata povera nella lingua e debole di immaginazione, impressionò invece, e molto, gli scienziati. Del resto, era stata scritta dal più giovane e dal più brillante tra loro.
Fu apprezzata anche dagli Animalisti. Il loro commento é ormai nei libri di scuola: “Gli uomini, hanno sempre guardato gli Animali come se fossero il loro passato vergognoso, e quando hanno pensato che potessero diventare il loro futuro, l’hanno visto come un incubo. Quanto si sbagliassero, é oggi sotto gli occhi di tutti”.»
Cara Brunella, cara Kicca,
É evidente che non sono il destinatario di queste righe, che ho catturato per sbaglio, in modo del tutto inconsapevole.
Credo sia possibile, ma é a voi che rivolgo la domanda, che questo testo non sia a noi “contemporaneo”. Io non sono uno scienziato, ma rifletto su una circostanza: la posta elettronica fa a meno dello spazio, e degli “atomi” di cui é composta la materia. Perché non ipotizzare che possa fare a meno anche del “Tempo”, così come noi lo conosciamo?
Su questa strada non mi inoltro: mi sembra troppo banale sostenere che sia arrivata, proprio a me, una lettera “dal futuro”.
Vorrei invece soffermarmi col vostro aiuto sul contenuto, stringato e forse folle, di questo testo. Vedete, vi prego, se ne ho tratto le giuste conclusioni.
Gli uomini hanno bisogno di nuovi Sensi. Per le loro esistenze, per le loro conoscenze.
Questa necessità é diventata ovvia, e accresciuta, da quando hanno progettato nuovi corpi: che sono i computer.
Ora, dove dovrebbero pescare il loro sesto, il loro settimo senso? Nella parapsicologia, forse?
Ma c’é la Natura che addita loro la soluzione: nei Sensi degli Animali. Persino, forse, nei Sensi delle Piante, che sono come Animali “in sonno”.
Nella storia del mondo, nel progresso straripante di questi ultimi decenni, manca una tappa, che é per me tra le più importanti: il riscatto della condizione animale. Gli uomini non sono riconoscenti verso gli animali: se ne vergognano, oppure li trattano come provviste ambulanti. Verso di loro abbiamo troppo spesso un comportamento da vivisezionatori, attivi o pentiti. Anche chi li ama profondamente, che sa di loro?
Io continuo a sperare che la Natura abbia riposto negli Animali segreti da cui imparare di continuo. Mi auguro che, una volta scoperti questi segreti, saremo pronti anche a una “rivoluzione animale”, non solo “artificiale”.
Spero che i computer ci consentano di dialogare con gli animali.
Quanto accresciuto, quanto gradito, potrebbe risultarne il nostro mondo!
E se ne gioverebbero, di riflesso, anche le macchine. Dobbiamo imparare a trattare con affetto i computer: sono loro gli Animali del Futuro.
Nel loro grembo cresceranno nuove forme di vita.
Un caro saluto
Annibale
[in copertina: Shirley Temple nel film Curly Top (Riccioli d’Oro, 1935)]