Il barelliere rise, scoprendo più gengive che denti.
“Bella domanda!” sbottò tutto contento. “A mezzanotte spaccata, tutte le sere, sento che rientra!”
Il racconto completo dell’infermiere, per fortuna, sgombrò il campo da ogni equivoco. Walker, già dal momento del suo arrivo, era stato in grado di camminare. Venni a sapere che, protetto da immunità diplomatica in quanto “Bandarese”, gli riconoscevano un trattamento a parte. Disdegnava di spogliarsi della calzamaglia, rifiutava le cure, disertava i padiglioni. Per qualche oscura ragione, amava appartarsi nell’antico Cimitero dell’Abbazia, di cui l’Ospedale non era solo il confinante, ma, in qualche modo, il principale cliente e fornitore.
Dato che l’Ombra che cammina aveva vietato a chiunque di avvicinarlo, dovetti ricorrere a un sotterfugio. Intorno a mezzanotte, quando tutti i reparti giacevano nel sonno, mi feci aprire dal barelliere, contro l’esborso di altri venti dollari, un cancelletto che dava sul Camposanto.
(III) Presto, proprio sotto il campanile, nella penombra, intravvidi arrivare l’Uomo Mascherato. Ero solo, e lui altrettanto ma, contrariamente a me che l’osservavo, Phantom era convinto della propria assoluta solitudine. Si fermò poco distante dal mio nascondiglio, di fronte a una bella tomba gotica.
L’orologio del campanile stava quasi per battere la mezzanotte, quando l’Ombra emise un lamento, un singhiozzo lacerante che, in una jungla, sarebbe parso un monito di belva, ma in quel deserto notturno, in quel cimitero dove ogni dolore era rasserenato e ogni corpo mortale aveva raggiunto la sua pace, suonò sinistro e estraneo. Aprì il cappotto, scoprendo il colore vivo del suo mascheramento. Dalla tasca interna, estrasse un kriss affilato e, rivoltane la punta contro il suo cuore, si menò un gran colpo, con tutta la forza del suo possente braccio destro.
Stavo per urlare, ma mi accorsi che, non so più se per un miracolo, o per un automatismo muscolare, la mano dell’aspirante suicida s’era bloccata di colpo, e il pugnale aveva solo sfiorato, graffiandola, la calzamaglia, fermandosi a pochi millimetri dalla tragedia.
Suonarono i dodici rintocchi della mezzanotte. Inebetito, l’Uomo Mascherato ripose con cura il pugnale nella tasca del cappotto, lo abbottonò e si avviò verso l’Ospedale.
“Un momento!”, gridai con voce strozzata.
Phantom si fermò a scrutare nel buio: “Siete di nuovo voi, Bonaventura?” chiese, con sospetto.
“No…”, dissi, e uscii dagli alberi. ”Sono Gog”.
Sentii tutta la vergogna del mio appostamento, d’aver veduto il gesto più privato che una persona possa commettere sul proprio corpo.
“Volevo ringraziarla per avermi salvato la vita”, sussurrai.
“L’uomo della Toilette!” mi rimproverò l’Ombra, quasi ruggendo. “Non dovevamo più vederci!”.
Poi si rivolse misteriosamente a se stesso: “Dovevi immaginare che quel che per gli altri vuol dire: mai, per te significa: sempre!”
“So che non dovrei chiederlo: ma perché voleva uccidersi?”
“Le sue domande sono sempre fuori luogo. Mi chieda piuttosto: perché non gli è riuscito?”
Stette un po’ incerto se mandarmi al diavolo o confidarsi. Poi, con pazienza, mi si sedette accanto e principiò:
“Glielo dico perché lei è amico di Bruce Wayne e del Gentiluomo Malato. Ma resta inteso che non farà cenno a nessuno, e soprattutto a Diana, della mia storia.
Sa che mi chiamano l’Ombra che Cammina, o Phantom, il Fantasma Mascherato. Che tragica ironia in questi soprannomi! Io non potrò mai essere: né ombra, né fantasma…
Non mi guardi in questo modo. Eppure l’ha visto lei stesso poco fa… IO NON POSSO MORIRE. Sono immortale”.
“Mi congratulo”, dissi, tanto per dire. “Ma questo lo sanno tutti. La sua immortalità è appunto una leggenda inventata a bella posta per incutere terrore ai malviventi, fomentare la superstizione della giungla e conferire al suo potere sui selvaggi un’impronta soprannaturale…”
“No, così ho voluto si credesse, ma la verità è un’altra. Io sono immortale davvero. Sono Io quello che seicent’anni fa ha giurato su un teschio di vendicarsi di tutti i pirati e i malfattori della Terra!
Non mi crede? Voleva il mio segreto, e pretendeva pure che fosse verosimile? Eppure mi ha visto all’opera, mi ha visto senza maschera! Non ha visto che non invecchio, che non mi ammalo, che nessuna ferita, compresa la più grave, può uccidermi? Quella che lei prendeva per vanità, al contrario, non era che speranza delusa… Speravo che il mio corpo cominciasse ad invecchiare, speravo in un segno sulla mia pelle, una grinza una cicatrice… Un sintomo di decadenza, d’umana prossimità alla morte… Niente di tutto questo.
Mi getto nelle imprese più suicide e disperate, augurandomi che qualcuno mi sopprima. Mi sparano, mi pugnalano, mi gettano in fondo all’oceano. Io riemergo sempre dal coma, continuo ad essere l’Ombra che Cammina.
Mi creda, non c’è peggior jattura dell’immortalità. Lo sa bene il suo e il nostro amico, il Gentiluomo Malato.
A trecento cinquant’anni d’età, anelo alla sepoltura.
Mi sembra umano, comprensibile. Ma purtroppo finora non mi è riuscito di morire. La leggenda dei Phantom, che generazione dopo generazione raccolgono il giuramento del capostipite è ridicola abbastanza per essere creduta, ma a me è servita solo per un motivo. Ho ancora ventisette anni, nel corpo e nei pensieri, se non nell’anima. E mi sono innamorato d’una ragazza. Diana Palmer. È per lei, come per le altre innamorate del passato, che ho inventato questa panzana. So per esperienza che nessuna donna ti si prometterebbe, se sapesse che Tu resterai sempre giovane e bello, mentre lei ti diventerà decrepita accanto. Nessuna donna sposerebbe mai un immortale…”
“Non ha pensato a qualche soluzione drastica? Una bomba per esempio…”
“Guardi, morire è il mio chiodo fisso da tre secoli a questa parte. Le ho pensate tutte. E se non mi riuscisse di uccidermi, nonostante la deflagrazione? Se ogni mio brandello di carne mi sopravvivesse, se ognuno fosse dotato di vita autonoma?
Ogni giorno convivo con questo buffo paradosso: per cui i mortali, che possono morire a ogni istante, non pensano altro che, con folle intensità, alla vita, mentre io, che non posso morire, non penso ad altro che alla morte.
Non mi voglio lamentare troppo con lei. Altri hanno passato la mia stessa esperienza. Mi consola la notizia che il bimillenario Joseph Cartaphilus è scomparso dal mondo, che il vecchio Dorian Gray, morendo, ha riacquistato tutte le sue rughe… Voglio un po’ di pace, una vecchiaia serena, una famiglia, figli che non facciano altro giuramento che quello di vivere fino a che il tempo glielo consenta. Chiedo troppo?
Adesso mi sta per raggiungere Diana, qui, in Europa. Ho appuntamento con lei. Ma non ho il coraggio di dirle la verità. Lei, Gog, era la mia ultima speranza: se sul mio volto avesse visto anche una ruga sola…avrebbe voluto dire la salvezza, un’inversione, verso la caducità. Invece no. Quello che mi ha detto mi spinge, ogni notte, dopo un tumulto interiore d’orrori, a tentare il suicidio. Però so che non ci riuscirò mai, e, mi creda, è la peggiore delle sensazioni”.
Andando via, ebbi l’impudenza di domandargli: “Mi scusi, Phantom. Non mi rimproveri la curiosità: com’è potuto diventare immortale?”
“Glielo dico, ma non lo metta in opera. È più semplice di quello che si crede. Le ho detto che ho giurato di sgominare ogni forma di disonestà e di furfanteria… È stato quello il mezzo. Per diventare immortali basta votarsi a un’ impresa impossibile, perché infinita nel tempo… Leggere tutti i libri, per esempio, o contare tutti i numeri… Volerlo non basta, bisogna cominciare, e superare qualsiasi soglia di stanchezza. È facile, tutto sommato, ma è terribile…
In questi tre secoli e mezzo, ne ho incontrati parecchi d’Immortali… Avrebbero venduto l’anima al diavolo, purché li portasse subito all’inferno!”
[prima versione del racconto pubblicato da Il Grifo, rivista di “Letteratura disegnata” diretta da Vincenzo Mollica e edita da Mauro Paganelli]