Racconta un personaggio di Hoffmann: “Ho conosciuto un uomo che, per giornate e nottate intere, solo nella sua camera, teneva il banco e puntava contro se stesso: e questo era, a mio parere, il vero giocatore”. E, sempre nei Fedeli di san Serapione, lo scrittore ritrae un altro vecchio giocatore, moribondo, che ci appare ancora più grande del primo, perché intraprende la sua ultima partita con la Morte: «Mentre il prete, che era stato chiamato a prestargli gli ultimi conforti, tentava di parlargli di cose spirituali, egli, con gli occhi chiusi, seguitava a mormorare tra i denti: “perd, gagne“, e con le mani tremanti nell’agonia, faceva il gesto di chi distribuisce le carte e di chi butta giù una carta. […] Infine, con un profondo sospiro: “gagne“, rese lo spirito».
Questo brano mi ricorda quanto ho appreso sulle ore finali d’un attore che ho molto apprezzato, Giampiero Albertini: volto rude, scolpito nella roccia, occhi chiarissimi, perfetto per i ruoli di cattivo o d’anima persa nei film “noir” o “polar” – generi nei quali eccelleva. Albertini è stato anche il migliore doppiatore, in italiano, di Peter Falk, nella sua veste stropicciata di Tenente Colombo.
L’ho conosciuto personalmente. Era un poeta. Scriveva poesie ispirate, davvero belle. Morì improvvisamente, per quel che so. Accanto a lui trovarono un foglio diviso a metà con un tratto di penna: l’aveva scritto mentre moriva. Su una parte, si leggeva: “Lu“, in dialetto – cioè: Lui. Sull’altra: “Me” – Io. Le due metà erano marcate ciascuna da una serie di croci, una accanto all’altra; non so in che numero, ma sembrava si trattasse di un “punteggio”.
Secondo il mio grande amico Mario Foglietti, che l’aveva diretto in molti sceneggiati televisivi, Lui era Gesù.
Ignoro chi, tra i due, avesse poi vinto quella “partita”, ma credo, spero, di intuire quale ne fosse la posta.
«Non so sciogliere questo enigma, ebbro come sono. Infatti Dio dice: “O tu o Io“. Per questo ardo e soffro: neanche un capello può coesistere con Lui» [‘Attar, nel Poema Celeste, XII].