I- Il segreto d’un’Ordalia Sacra, se da questa ci si attendono risultati decisivi, è che essa non è un tipo di “Giustizia Salomonica”: di conseguenza, è estremamente pericoloso e improduttivo sottoporre insieme, alla stessa prova, il Giusto e l’Ingiusto.
Tra la fine del Milleduecento e l’inizio del Milletrecento la pace religiosa dell’impero bizantino fu sconvolta da uno scisma. Arsenio e i suoi seguaci avversarono il Patriarca di Costantinopoli. Si suppose che un incruento “Giudizio di Dio” avrebbe risolto la questione. Si fece l’errore, però, di gettare in un braciere, contemporaneamente, le tesi dell’uno e dell’altro, nella vana opinione che solo i postulati eretici si sarebbero carbonizzati.
“Purtroppo” – cito la Storia della Decadenza e Caduta dell’Impero Romano di Gibbon – “le fiamme li consumarono entrambi senza distinzione, e questo incidente impreveduto, se produsse l’unione di un giorno, prolungò la discordia per un secolo”.
Fu un errore marchiano, perché è evidente che alla prova del fuoco doveva essere sottoposto solo un foglio, cioè quello contenente i dogmi dell’avversario. Chi si sente nel giusto, non ha bisogno di conferme divine – altrimenti sarebbe come se dubitasse di Dio. È sempre l’altro che deve ricorrere a un Miracolo, per convincerci.
II- In questo errore caddero ancora nel 1498, a Firenze, gli avversari del profeta Savonarola. I francescani, urtati dalle tesi eretiche dello scomunicato Girolamo, sfidarono il frate domenicano alla Prova del Fuoco. Il celebre predicatore, che con le sue visioni apocalittiche incendiava l’animo dei fiorentini, e un suo rivale leale al Papa, dovevano entrambi sostare in un rogo eretto a bella posta e lasciarsi bruciare dalle fiamme; chi tra loro fosse sopravvissuto, avrebbe confermato in questo modo la giustezza delle proprie posizioni. Si riteneva che il “Giudizio di Dio” non lasciasse scampo ai colpevoli e fosse inappellabile. Questa perfetta Ordalia, fu invece risolta grazie a un’Astuzia.
Il 17 aprile, narra Jacopo Nardi, cronista de Le Storie della Città di Firenze (1584), si accalcò nella piazza della Signoria una gran folla, formata da partigiani, più che da curiosi: ed era numerosa la schiera di chi teneva per fra’ Girolamo, quelli sicuri che Iddio sarebbe intervenuto a miracolare chi affermava di esserGli così prossimo, da poter parlare in Sua vece sulla Terra.
Da poco Savonarola era infatti salito in Cielo, grazie a una scala posta in un paradisiaco Giardino, una di quelle gradinate alle quali accedono spesso e volentieri i Santi nelle loro mistiche ascensioni. Aveva trascritto quest’esperienza in un Compendio di Rivelazioni, che era stato pubblicato nel 1495. Lassù aveva visto Maria, che rende il Cielo più accessibile agli Umani, e osservato la Trinità, che gli si era presentata come “uno lume meraviglioso con tre face”. Immagine potente ed efficace, ma forse più teratologica che teologica.
L’invito al rogo, per la verità, non venne raccolto personalmente dal Savonarola, ma da un suo fedelissimo e inseparabile discepolo, grande predicatore anch’egli, Domenico Buonvicini da Pescia. Costui disse che il suo Maestro, che pure sarebbe stato presente, si riservava di fare cose più importanti; e poiché professava apertamente le stesse idee, lo scambio cavallerescamente fu accettato. A fronteggiarlo, o a perire, i francescani scelsero tra loro un converso, Andrea Rondinelli.
Si accese nella piazza un rogo immenso (“un apparecchio di fuoco spaventevole”, lo descrive Nardi), e nessuno dei due, come promesso, provò a sottrarsi all’esperimento: ma il seguace di fra Girolamo, fece in modo di renderlo impossibile.
Infatti il Buonvicini si presentò di fronte alla pira ardente recando in mano l’Ostia consacrata, e non volle deporre il Sacramento, nonostante le insistenze dei francescani. Certo, non si poteva bruciare, insieme all’allievo dell’eretico, anche il Corpo di Gesù. E il responso della Prova del Fuoco sarebbe stato ambiguo se, viceversa, tanto l’Ostia, quanto il savonaroliano che la custodiva, si fossero salvati dalle fiamme. Si sa che, in caso d’incendio di una chiesa o di un tabernacolo, Iddio spesso interviene direttamente a proteggere le particole, lasciandole incombuste. In questo modo un miracolo si sarebbe sovrapposto all’altro, rendendo vano quello in gioco nell’Ordalia.
Nell’escogitare questa “via d’uscita” da una situazione impossibile e irta di pericoli, credo si noti il “tocco”, il marchio, dell’arguta immaginazione di Savonarola, il quale aveva già evitato di sottoporsi direttamente al Giudizio di Dio.
Così la Prova del Fuoco non fu effettuata e ciascuno ritornò alle proprie posizioni.
Le cronache oltretutto raccontano che la disputa sul Sacramento si protrasse per ore, finché giunse una pioggia inaspettata a spegnere le fiamme nelle quali l’ostinato frate Domenico, e il suo rivale francescano, il cavilloso Rondinelli, avrebbero dovuto soggiornare. Segno, commenta il Nardi, che il Cielo stesso si era seccato di tutte quelle brighe.
Ma ancor più dispiaciuto e irritato si dimostrò il popolo accorso, che non gradì affatto gli fosse stato negato il grandioso Spettacolo della Giustizia Divina all’opera.
I fiorentini dei due partiti contrapposti, faziosi e turbolenti come sempre, presero a fronteggiarsi con maggiore accanimento, e i più violenti si dimostrarono certamente quelli che osteggiavano il Profeta. Così che, nel giro di pochi giorni, frate Girolamo – inviso non solo per le sue idee in tema di Fede e per le invettive contro il degrado e i vizi della Chiesa, ma soprattutto per le sue posizioni politiche contrarie ai Medici –, fu estratto a viva forza dai facinorosi dal suo rifugio in san Marco, consegnato agli inquisitori, torturato e condannato a morte in quanto “eretico, scismatico” e predicatore di “cose nuove”.
E il rogo che aveva evitato (forse) con l’Astuzia, sottraendosi all’Ordalia, si accese davvero per lui, ancora e sempre in piazza della Signoria, il 24 maggio 1498.
Savonarola fu impiccato e il suo corpo fu poi arso, e insieme a lui perirono, allo stesso modo, Domenico Buonvicini, il frate che aveva aggirato il Giudizio di Dio, e un altro fedelissimo, Silvestro Maruffi.
Tanto folli furono i loro persecutori, che la campana del priorato che aveva suonato l’allarme, sollecitando il soccorso per gli assediati, “durante l’assalto condotto al convento di san Marco, per cavarne fuori Girolamo Savonarola”, fu giudicata “sediziosa”, al pari d’un essere animato. E quindi, lo ricorda il Waree, fu “condannata, in segno d’ignominia, a passeggiare per tutta la città, in groppa a un asino“.