Nel libro di poesie di Xavier Forneret, Sans Titre et Encore un an de Sans-Titre, compare questo verso, lodato da Alberto Savinio:
“J’ai vu une boite aux lettres sur un cimetiere“…:
“Ho visto una cassetta delle lettere dentro un cimitero”…
Fin qui, nulla di sorprendente o insolito: da sempre i visitatori lasciano messaggi, versi e graffiti sui sepolcri dei loro amati, o sulle tombe dei più grandi uomini, o delle donne più affascinanti della recente Storia.
I problemi veri nascono quando loro, i Morti, rispondono. Oppure quando sono loro, i Trapassati, a inviarci una lettera per primi e noi a trovarla nella nostra cassetta delle poste.
I- Ernst Friedrich Peguilhen si vide recapitare, in un giorno di novembre, questa missiva inattesa:
« Enrichetta Vogel a Ernst Friedrich Peguilhen: “Mio carissimo amico! All’amicizia che Lei finora mi ha sempre dimostrata così fedelmente è riservato di sostenere una strana prova, perché noi due, cioè il noto Kleist e io, ci troviamo qui, da Stimming, sulla strada di Potsdam, in uno stato molto imbarazzante, in quanto giacciamo uccisi con arma da fuoco e ora facciamo assegnamento sulla bontà di un benevolo amico per affidare le nostre fragili spoglie alla tutela sicura della terra. Cerchi, carissimo Peguilhen, di arrivare qua questa sera e di fare in modo che il mio buon Vogel ne rimanga atterrito il meno possibile”»
« Heinrich von Kleist allo stesso, stessa lettera: “Forse posso ricorrere anch’io, mio carissimo Peguilhen, alla Sua amicizia per chiederle qualche piccolo favore. Ho dimenticato di pagare il barbiere per il corrente mese e La prego di dargli un tallero che troverà in un involto nella cassetta di madame Vogel […]. Infine, La prego ancora di regalare al mio buon padron di casa Müller, Mauestrasse n. 53, in segno di modesto riconoscimento della sua buona accoglienza e ospitalità, la valigetta di cuoio nero, di mia proprietà, ad eccezione delle cose che potrebbero eventualmente essere utili per il mio funerale. – Stia bene, mio carissimo Peguilhen; il mio saluto e i miei ossequi alla Sua ottima consorte e alla figlia.
Firmato:
H. von Kleist – il 21 novembre, dicono qui; ma noi non sappiamo se sia vero” ».
II- Durante la campagna che gli valse la conquista della Slesia, Federico Secondo re di Prussia, aveva proibito, pena la morte, che – a un’ora determinata della notte – restasse acceso anche il più tenue barlume di fiamma dentro gli accampamenti della sua armata. Il tamburo aveva appena finito d’annunciare il momento fatale, quando il re, che faceva la ronda di persona, s’accorse che un certo lucore – probabilmente una piccola candela –, brillava nella tenda d’un suo ufficiale, un certo capitano Zietern.
«Entrò subito nell’alloggio e sorprese il sottoposto mentre quello sigillava una lettera. Il capitano cercò di giustificarsi, e si gettò ai piedi del sovrano implorando clemenza. Non aveva contravvenuto all’ordine – così si difese – che per qualche minuto, e solo per terminare una lettera che aveva scritto all’amatissima moglie. “In questo caso vi concedo un po’ di luce ancora per qualche minuto – replicò il Re –, il tempo di riaprire il plico e d’inserirvi altre due righe per vostra moglie. Aggiungete: domani a questa stessa ora, io morirò sul patibolo”. Il capitano obbedì, e al termine delle ventiquattrore stabilite, fu giustiziato».
Specificano gli Anecdotes peu connues du Regne & de la vie privée de Frédéric le Grand, che « tutte le volte che il defunto re di Prussia s’era visto obbligato a firmare una sentenza di morte, gli astanti poterono rimarcare che il suo umore diveniva, all’improvviso, triste, e malinconico”.
III- Non posso non aggiungere alla mia collezione di corrispondenze “estreme” anche questa missiva autentica, datata diciottesimo secolo, e indirizzata da un marito alla sua adorata sposa:
“Mia cara moglie, […] sono stato impiccato ieri, tra le undici e mezzogiorno.
Ho fatto, grazie al Cielo, una morte molto bella, e ho avuto il piacere di costatare che tutti mi compiangevano. Ricordati di me, e fai in modo che i nostri poveri figlioli facciano altrettanto”.
Il Mittente, un uomo condannato a morte, sapeva che le Poste avrebbero consegnato il messaggio solo il giorno dopo la sua esecuzione, e si era premurato di avvertire la moglie col maggior tatto possibile circa la sua sorte. Poi però, secondo la basilare Encyclopédiana, fu “graziato” in extremis.
Da quel momento evitò ogni comunicazione e ogni incontro con la coniuge, vergognandosi della propria sventatezza.
Condusse una nuova esistenza da “fantasma”, mentre la donna, del tutto ignara, si risposò.
Non riesco a capire fino a che punto quel condannato sia stato vittima dei ritardi postali: se questo servizio avesse funzionato a perfezione, la sua lettera non sarebbe stata meno assurda. Non era più semplice cominciarla con: “Mia cara moglie, sarò impiccato oggi – o domani, o posdomani, a seconda della data –, tra le undici e mezzogiorno”, rinunciando a tutto quello che viene dopo? e lasciare poi che la Posta (come il Destino, cui tanto spesso somiglia) facesse il suo corso? Poteva così, tranquillamente, correggere l’annuncio il giorno successivo, informando la moglie della grazia ricevuta. Di sicuro quest’ultimo messaggio l’avrebbe sconcertata, se aveva già cominciato il lutto: ma, comunque, doveva sorprenderla assai meno che non il messaggio d’oltretomba con il quale il marito morto si faceva vivo con lei.
[in copertina: Cantore, di Pietro Paolini]