I- Le Marionette incarnano a prima vista un “grado zero” dell’Automa. Sembrano loro gli automi più semplici. Automi momentaneamente immobili, e in attesa: paiono paralizzate e istupidite da un lento veleno. Ma poi fili metallici e altri accorgimenti le fanno parlare e camminare, e diventano vive.
Le Bambole sono vive solo nell’immaginazione delle bambine, e la Maschera in quella dello stregone; mentre i burattini, con i quali spesso vengono confuse, sono protesi comiche, illusorie e buffe estensioni della mano. Diversa è la “personalità” delle Marionette, l’anima che le distingue e che attende d’essere messa in moto. Esse nascono per essere animate.
Ha scritto Guido Ceronetti, che intorno a loro costituì un Teatro: “La sterminata letteratura su Cesare non vale, forse, per conoscerlo a fondo, quanto un’ora passata, e cento volte ripetuta, con la marionetta di Cesare”.
Da parte sua, Kleist, che le aveva studiate a fondo, riteneva che le Marionette fossero la prova – dico così – “vivente”, che la Grazia originale, perduta dagli Umani con la cacciata dall’Eden, potesse essere recuperata. A lui parevano esseri perfetti, perché totalmente privi di coscienza, simili in questo a Adamo e Eva prima dell’assaggio fatale del frutto della Conoscenza.
Quindi sarebbe forse giusto considerare la Marionetta non lo stato più elementare e inerte dell’Automa, ma piuttosto il grado zero dell’Essere dotato di anima e intelligenza, e quindi l’unità di misura dell’Umanità. Il più piccolo Essere dotato di “significato”, almeno in senso teleologico. Questo, naturalmente, se lo Spirito valesse quanto la Carne.
II- Pare che le prime marionette, come le intendiamo noi, nacquero per un motivo economico. A Venezia, nel 944, furono rapite dai pirati triestini dodici belle ragazze. I loro promessi sposi riuscirono a liberarle, e si decretò che il fatto venisse ricordato con una Festa, la “Festa delle Marie”. Per l’occasione, ogni anno dodici fanciulle bellissime, splendidamente abbigliate e adornate di gioielli, venivano condotte in giro per la città, in ronde che duravano otto giorni. I dogi, in premio, assegnavano loro una ricca dote. Vestiti, gioielli e sghei a spese dello stato divennero con gli anni troppo onerosi. Nel XVI secolo, le Marie in carne ed ossa furono perciò sostituite da pupazzi snodabili di legno che vennero trattati come persone. Il risparmio fu evidente, la tradizione non ne risentì. Quelle furono le prime “piccole Marie o Marione”, quindi le prime “Marionette” della storia.
I bambocci legnosi mossi dai fili da allora hanno conosciuto un inarrestabile successo popolare. Nella sola Italia dell’Ottocento, le marionette erano un esercito. Yorick [ne La storia dei burattini] ne conta quarantamila, segno inconfutabile di quanto venissero apprezzate anche dal pubblico più alfabetizzato.
La migliore Letteratura si inchinò e rese omaggio al loro fascino. Non dimentichiamo che, per Goethe, la Vocazione teatrale di Wilhelm Meister nasce su un palcoscenico di marionette, sul quale si rappresentava l’uccisone del gigante Golia da parte di un piccolo David legnoso, ricciuto di rosso.
Per Hoffmann [Singolari pene di un direttore di teatro], le marionette costituivano la “compagnia ideale” di ogni vero impresario. Niente rivalità, nessuna “prima donna”, nessun incidente di percorso, repertorio di ferro. E.T.A. però fu smentito presto, nel suo stesso secolo. Fu più preveggente di lui l’autore dei Notturni di Bonaventura, romanzo cardine del Fantastico moderno, dove si legge che la polizia arresta un’intera compagnia di marionette, “dichiarandone pericolosa l’attività dal punto di vista politico“.
Kleist scrisse il suo perfetto saggio Sul Teatro di Marionette nell’autunno del 1810, quando i gendarmi e la censura s’accanivano contro le esibizioni degli “attori di legno”, e le impedivano, tacciandole di “immoralità”.
Stendhal, assiduo frequentatore di questi minuscoli palcoscenici, raccontò di aver assistito a Napoli a uno spettacolo segreto di pupazzi. Il pubblico era tenuto, per giuramento, a nulla rivelare della messinscena. Si faceva la satira dei governanti, rappresentati da altrettante marionette. Talvolta, gli stessi ospiti, se erano uomini e donne di spirito, prestavano la voce ai personaggi pubblici importanti, imitandone i tic, gli accenti, la dialettica.
In realtà, contrariamente ai burattini, figli diretti delle maschere della commedia dell’arte, le marionette hanno sempre mirato a compiacere un pubblico adulto. Di qui, le “retate”, e i guai con la censura.
Le devianze, le perversioni, la morbosità, s’affacciano nei loro spettacoli, sia nei tempi più antichi, che in quelli moderni.
Una pagina di Frazer induce a credere che le prime Marionette prodotte dalla nostra civiltà furono pornografiche: statue d’ Osiride, in Egitto, con il fallo proteso che si moveva tirato su da un filo.
Ne La nave bianca di Aitmatov, messo in scena in tempi non lontani dalla famosa compagnia dei Colla, la marionetta protagonista, che impersona un bambino, si suicida.
Raccontava, qualche anno fa, la studiosa Doretta Cecchi: “negli Stati Uniti alle marionette donne si fa fare anche lo striptease!”.
III- É vero che gli spettacoli delle marionette sostituivano, soprattutto in arronzati palcoscenici di provincia, le normali rappresentazioni teatrali. Con lo sfarzo dei costumi, l’abbondanza di effetti speciali, la sapienza delle luci, la musica e il ballo, scatenati, la bellezza e il trucco delle “prime donne”, la ricchezza del repertorio, permisero anche al pubblico più incolto e popolare di avvicinarsi a percepire il fascino del Gran Teatro, dal quale normalmente era escluso.
In cartellone figuravano, accanto alla produzione “ad hoc”, i classici, come Shakespeare, o per quasi tutti, Don Giovanni Tenorio e altri drammi o commedie ben conosciute.
Tuttavia, questa “rassomiglianza” non spiegava né il successo autentico, né la ragione vera per la quale si metteva in piedi quel teatro di bambocci .
La recitazione, e il testo, erano più importanti della stessa verosimiglianza delle marionette. Esse venivano percepite come “commedianti”, anche se di legno: alle loro prestazioni ci si commuoveva o si rideva, come per gli attori veri. L’automatismo della pantomima era un sovrappiù comico, non era quello ad attirare gli spettatori.
Il repertorio originale, genuino, autentico del Teatro di Marionette è rivelatore. Se la marionetta si impose, il successo probabilmente dipese dalla sua abilità di “cantante”.
Doppiata, ovviamente, fuori scena.
A Roma e a Venezia, già alla fine del 600, si mettevano in scena intere opere in musica, solo per pupazzi. Gettando uno sguardo superficiale e alla rinfusa sui cartelloni e il repertorio, fino a tutto il Settecento si nota che queste operine nulla hanno di incolto, infantile, semplice rozzo e “popolare” in senso deteriore, tutt’altro.
Gettando uno sguardo superficiale e alla rinfusa sui cartelloni e il repertorio, fino a tutto il Settecento si nota che queste operine nulla hanno di incolto, infantile, semplice rozzo e “popolare” in senso deteriore, tutt’altro. I titoli di maggior successo non vengono certo pensati per una platea di bocca buona, e dimostrano piuttosto che si era consolidato, tra il pubblico, il gusto per un Teatro “diverso” e autonomo, e non l’apprezzamento per l’imitazione del Teatro “vero”, in carne e ossa, come se fosse, di quello, un succedaneo più comodo e conveniente dal punto di vista economico.
A un certo punto, l’arte della commedia, nel teatro delle marionette, esautorò del tutto non solo le burattinate da parco pubblico, ma la commedia dell’arte e le sue maschere.
Si mettono in scena avvenimenti bellici, storie edificanti, mirabolanti avventure, i martìri dei santi, gli adattamenti dei grandi romanzi, le vicende brigantesche, l’attualità storica e le grandi conquiste geografiche. Le marionette impersonano personaggi storici o epici, come Napoleone (famoso fu lo spettacolo Napoleone a Tolone) o come Garibaldi, suscitando emozioni e applausi. Anche la cronaca minuta forniva i suoi spunti. E poi i balli più acclamati, che percorrono tutto l’Ottocento, entusiasmando spettatori raffinati come Flaubert: Il Conte di Montecristo, I promessi sposi, La passione di Nostro Signore Gesù Cristo, Il giro del mondo in ottanta giorni, le cinque giornate di Milano“.
Naturalmente, questi spettacoli erano avvantaggiati dalla gran facilità e rapidità dei cambi di scena e di costumi, rispetto al Teatro “borghese”.
L’antico immaginario dei Pupari o dei cantastorie popolari, dei giorni di mercato, si fondeva con un gusto nuovo e “sensazionalistico” che non trovava appagamento nelle rappresentazioni “umane” tradizionali.
Se, adesso, vogliamo trovare il vero erede del Teatro delle Marionette, dovremmo forse pensare a cosa è stata la Televisione del secolo scorso, nei paesi occidentali. Il repertorio degli “attori di legno” sembra un “palinsesto televisivo”: che va dai programmi per bambini ai romanzi sceneggiati, alla musica, alla predica parrocchiale, al varietà con gli “imitatori”, come testimonia Stendhal.
Ecco cosa abbiamo perso, con le Marionette, che non esistono più, e che nessun “videogioco” potrà mai sostituire.
Un redivivo Kleist direbbe, forse, che con la loro scomparsa abbiamo perduto, di nuovo, la nostra “innocenza”: come ai tempi del Peccato originale.
[in copertina: La Donna e la Marionetta, di Ángel Zárraga]
[CONTINUA]